RWC 2007, quando gli argentini si trasformarono nei “Pumas de oro”

La garra dei Pumas nel match della RWC 2007 contro l’Irlanda, raccontata dai Delinquenti prestati al mondo della palla ovale

 

ph. Sebastiano Pessina

ph. Sebastiano Pessina

It starts now, it starts now!”. Lo sguardo è di quelli che non fanno prigionieri, i muscoli premono forte sulla maglia verde che fatica a rimanere tutta di un pezzo. Alza le braccia ripetutamente, vuole coinvolgere il pubblico, vuole che tutti siano dalla sua parte. Da adesso in poi, perché comincia ora, per l’Irlanda e per Brian O’Driscoll una Coppa del Mondo che promette di non essere deludente come le partite vissute finora. Solo che nemmeno il fenomeno irlandese col numero 13 tatuato sulla schiena può fare miracoli. Certo, può tirare, può addirittura fare il gregario, può animare i suoi, ma non può smuovere montagne da solo. Soprattutto se quelle montagne vestono di biancazzurro e hanno il dente avvelenato. Perché davanti ci sono i Pumas, che nel 2003 in Australia persero proprio contro l’Irlanda la possibilità di arrivare ai quarti. E che dal 2005, anno del sorteggio dei gironi, hanno cerchiato questa data col rosso. In tanti, a dire il vero, hanno segnato questi Mondiali come momento da ”ora o mai più”, e non è un caso che la Coppa del Mondo 2007 sia quella che, finora, ha regalato più sorprese. A cominciare dalle Fiji, che buttano clamorosamente fuori il Galles di Gareth Thomas e Shane Williams. Passando per Tonga, che diverte e fa tremare Inghilterra e Sudafrica. Passando per il Portogallo, che raccoglie applausi nonostante le perda tutte, e neanche di poco. E per finire con i Pumas, che nel vero e proprio girone della morte non solo non hanno perso nemmeno un incontro, ma all’alba del match decisivo non hanno subito neppure una meta. Nemmeno dalla Francia padrona di casa, data tra le favorite alla vigilia ma che di quel match deve ancora capire tante cose.

I Pumas preparano il Mondiale come mai prima d’ora avevano fatto: vanno a Pensacola, in Florida, per la preparazione fisica. Scelgono uno di quei centri sportivi che già usano varie squadre di basket e football, mettono il fitness prima di tutto. È una preparazione devastante, ma i primi mattoni del loro Mondiale li mettono giù qui. Poi arrivano tre incontri: contro il Cile arrivano 10 mete e una vittoria mai in discussione, contro il Galles, in Francia, si perde 27 a 20, mentre contro la Nazionale del Belgio arriva un 36 a 8 che permette di nascondere le carte fino alla fine. Contro Shane Williams e compagni arriva una brutta tegola. Martín Gaitán, centro di Biarritz, ha un malore negli spogliatoi: gli viene diagnosticata una malformazione all’aorta. Deve abbandonare il rugby giocato all’istante. Gli altri, per tutta risposta, cementano ancora di più il gruppo, anche per “El Negro”.

Il girone è tosto: ci sono la Francia padrona di casa e l’Irlanda che ha perso al fotofinish il Sei Nazioni (ricordate la meta di De Marigny?), poi Georgia e Namibia. È tosto senza dubbio, ma l’Argentina non ha una mica una brutta squadra, anzi: la mischia fa realmente paura, ci sono mostri sacri come Scelzo, Leguizamón, i fratelli Fernandez Lobbe. A guidare questo gruppo di veri e propri delinquenti c’è Mario Ledesma, viso da padre della vostra nuova morosetta, quello che, nel dubbio, non vorreste mai contraddire. È lui a guidare la bajadita, ossia la mischia chiusa argentina. La tiene bassa e la fa spingere a tutta, soprattutto quando ad avere l’ovale è l’avversario. Gliel’hanno insegnato i vecchi Pumas, quelli che negli anni ’60 e ’70 andarono in tour in Sudafrica. È difficile metterli in crisi davanti, quasi impossibile con quella cassaforte. Ci riusciranno solamente gli Springboks, in questo Mondiale, e nemmeno sempre. Ledesma è un leader, ma non è quello che parla di più. A caricare tutti c’è l’altro veterano, Agustín Pichot, mediano di mischia. Lui c’era già nel 1995, l’anno della “rubata” di Diego Domínguez. Carica tutti, se li prende tutti per mano, se li abbraccia tutti prima e dopo le partite. Non ha più il passaggio dei tempi d’oro, ma uno così , uno che tiene carica la truppa, ti serve. Dietro ci sono i fratelli Contepomi, Corleto, Agulla, Borges, Hernández. È uno squadrone. Il coach, Marcelo Loffreda, giocava centro ai tempi di Hugo Porta, e non è un caso allora che si prenda più tempo del solito per decidere l’apertura titolare. Non ha toccato troppo la palla, ai suoi tempi, perché Porta nel dubbio calciava ma sa che decidere il giusto numero 10 è fondamentale. Ci sarebbe Felipe Contepomi, che è un regista e un leader fenomenale. Ma c’è pure Federico Todeschini, l’eroe di Twickenham: nel 2005 segna 20 punti sui 25 totali con i quali i Pumas pareggeranno con i Lions, un anno dopo ne segna altri 22 e batte quasi da solo l’Inghilterra, provocando le dimissioni immediate di Andy Robinson. Bella lotta. Sta di fatto che Loffreda sceglie Juan Martín Hernández, l’estremo dello Stade Français.

Ma come? Con quel ben di Dio rischi un giocatore fuori ruolo?
Piano. Loffreda ha un piano ben preciso: Contepomi è immenso e in campo ci sarà, sarà il primo centro e il piazzatore. Ma El Mago, sostiene Loffreda, non lo puoi tenere così fuori dal gioco. È uno degli estremi più forti del mondo, ma ha mani, cervello e visione di gioco da regista abbinati ad un fisico solidissimo. E un placcaggio da terza linea ergastolana.
Uno così, secondo Loffreda, ha il 10 tatuato dietro. E ha ragione lui. Hernández è incontenibile e guida una linea di trequarti magari non appariscente come quella francese, ma famelica, solida, concreta. Anche in difesa. Se ne accorge subito la Francia, che parte da favorita ma che nel primo tempo non vede praticamente palla. La mischia e la pressione dei Pumas sono qualcosa di indescrivibile, Saint-Denis ammutolisce quando Corleto disegna una curva da quattrocentista consumato e marca quasi in bandiera. Il resto lo fanno un Contepomi monumentale dalla piazzola e el Mago, che tatticamente vede ed esegue prima del pensiero altrui. Georgia e Namibia non oppongono grossa resistenza, i Pumas si qualificano aritmeticamente e attendono il loro destino: primi o secondi nel girone? Dipende dagli altri: la Francia esagera con Georgia e Namibia, l’Irlanda fatica.

Eccome se fatica.

Lo staff alla vigilia aveva pensato che essere al 100% subito avrebbe pregiudicato la tenuta in vista dei quarti di finale, obiettivo dato quasi per acquisito prima di arrivare in Francia. Bastava giocare e lasciar passare il tempo, i risultati sarebbero arrivati. Certo, ma i test sono un pianto: perdono male in Scozia, poi contro gli azzurri vengono salvati da una clamorosa svista arbitrale allo scadere. E non è che in Francia vada tanto meglio: contro i generosi namibiani giocano per un’ora, poi arrivano due mete africane in 5 minuti. O’Driscoll scuote i suoi, arriva la quinta meta e fine dei giochi. Contro i Lelos va anche peggio, finisce 14 a 10 con i georgiani che rischiano a lungo di portare a casa la vittoria (e la meriterebbero pure). Poi contro la Francia perdono male, senza mai essere pericolosi. E allora tocca battere i Pumas. E segnare 4 mete. Dura eh?
E dire che la squadra irlandese non è da buttare: ci sono fenomeni come Brian O’Driscoll, Paul O’Connell e Donncha O’Callaghan. Ci sono Hickie, Dempsey, Leamy, Shane Horgan, D’Arcy. C’è Ronan O’Gara, un numero 10 come se ne sono visti pochi a livello mondiale. È un cecchino, ha piedi e mani d’oro. Non attacca troppo la linea e non è un gran placcatore, ma uno così non nasce tutti i giorni. Ecco, O’Gara però non è mai stato famoso per essere il simpaticone della compagnia. In campo a volte è irridente, e frega poco, direte, se vi fa vincere le partite. Aspettate però: si è preso un paio di confidenze di troppo anche con gli argentini nel 2003, e questi non se lo sono dimenticato. Non se lo è mai dimenticato soprattutto Felipe Contepomi, che in Irlanda ci gioca e che lo affronta ad ogni maledetto Munster-Leinster. Ed ogni occasione è buona per ricordargli quanto può far male il rugby argentino, se preso a dosi massicce. Lo stadio, se già non lo era prima del match, è quasi tutto per i Pumas. D’altronde sono tanti gli argentini che giocano in Francia: Pichot, Hernández, Corleto, Ledesma. Ma non è solo questo: la gente francese ha il dono di riconoscere la passione altrui, soprattutto quella ovale, se dite loro che il rugby per voi significa tanto si apriranno più del loro solito, almeno per una volta. E quando questi sentono Pumas cantare il loro inno, come le lacrime solchino quei visi da galeotti alle parole “O juremos con gloria morir”, beh, sapete già che i francesi più passionali voteranno bianco e azzurro.
Parte forte l’Irlanda. Deve partire forte, quattro mete a questi non gliele segni temporeggiando. Sono sette minuti di pressione feroce, tutti i calci vanno in touche, non si può andare per i pali. La difesa argentina regge l’urto. Lo regge talmente bene che al settimo, su una liberazione al piede, sale compatta. Gli irlandesi sono sulla linea dei 10 dei Pumas, ma sono costretti a passarsi palla e pressione. Retrocedono fino ai propri 22, poi sono costretti al tenuto. Il Parco dei Principi si spella le mani, mentre gli irlandesi capiscono che qui le quattro mete non sono cosa da poco. Contepomi sbaglia il calcio, ma i Pumas non cambiano registro: salgono insieme, placcano anche l’aria. E in mischia scardinano i piloni verdi. Lo fanno anche al quarto d’ora, siamo sui 5 metri irlandesi: Longo tira fuori il pallone e attacca la chiusa, serve Pichot e poi palla a Borges, nuovo acquisto di Treviso, che va a schiacciare. Contepomi sbaglia la trasformazione, O’Gara riavvicina i suoi con un calcio. Dalla ripartenza gli irlandesi provano a salire alla mano dai 22, ma la pressione argentina è incredibile: devono calciare la palla, che arriva in mano a Corleto. Corleto è spettacolare, una scarica di elettricità, forse il più performante del Mondiale in questi frangenti insieme ad Habana. Lo fermano sui 22, poi riparte Albacete. Pichot ha palla tra i piedi, sente la chiamata, serve El Mago. Drop di destro, in mezzo ai pali. Come a dire “calciateli pure a noi i possessi, ci pensiamo noi”. Gli irlandesi però hanno una reazione d’orgoglio: O’Gara serve una palla col contagiri a O’Driscoll, i difensori argentini sono fuoritempo. Il numero 13 irlandese va dentro e ciao, sorpasso Irlanda. “It starts now, it starts now!”. Lo sguardo è di quelli che non fanno prigionieri, i muscoli premono forte sulla maglia verde, che fatica a rimanere tutta di un pezzo. Alza le braccia ripetutamente, vuole coinvolgere i suoi, il pubblico, vuole che tutti siano dalla sua parte. Vuole smuovere le montagne. Ma non può bastare questo per vincere le partite. Anche perché, da adesso in poi, i Pumas prendono e portano gli avversari a lezione. Di pressione, di mischia. Di rugby.
O’Gara praticamente sparisce dal match, annullato dalla terza linea argentina. I trequarti con lui. Davanti non c’è storia da tempo. Per piacere, andate a vedervi le statistiche sui placcaggi e sui turnover di Longo, Ostiglia e Fernandez Lobbe, per non parlare di Martin Durand, in panchina ma subito nel vivo del gioco quando tocca a lui. E poi, per piacere, fate un inchino al Mago, che il cilindro se lo toglie lui, ma solo per far vedere che le magie non sono ancora finite. Spara un altro drop di destro dai 22 e porta di nuovo in vantaggio i suoi, 11 a 10. Ecco, magari non l’abbiamo detto chiaro prima, ma un’apertura che sfrutta e valorizza in questo modo il lavoro dei suoi compagni è un’assicurazione mica da ridere. Ti fa giocare sereno, tranquillo, anche se il mare è in tempesta, anche se lo vedi che gli irlandesi è meglio buttarli fuori dal match il prima possibile. Li butta fuori lui, i verdi: gioco rotto, O’Gara calcia alto, nessun irlandese segue. Hernández spara un up’n’under altissimo, corre, salta più alto di Dempsey e con un sottomano serve Scelzo.

In aria.
Con un solo movimento.
Chapeau.

Scelzo, che gioca a Clermont, va avanti a testate, gli irlandesi non riescono a metterlo giù. E quando ci riescono la palla è in mano ad un altro ergastolano biancazzurro. Lobbe, Albacete. Arrivano ai 5 metri, i verdi sono tutti ammassati. Pichot apre, la palla passa per Corleto, Longo e Agulla, l’unico dilettante della compagnia, che quasi si fa buttar fuori ma riesce a schiacciare. Viene giù tutto. Contepomi indovina anche una trasformazione angolatissima, è 18 a 10 alla fine del primo tempo. Gli irlandesi non capiscono più nulla: la stanno perdendo davanti, la stanno perdendo al piede e dietro i rifornimenti non arrivano. O’Driscoll predica nel deserto, O’Connell richiama tutti, ma lo sanno benissimo che qui, se non cambia qualcosa, si esce. La mettono sull’orgoglio, ma contro la garra non è che la puoi spuntare così, su due piedi. Qua bisogna far qualcosa, anche perché i Pumas annusano la vittoria e stanno cominciando a nascondere la palla. Contepomi aggiunge tre punti dopo una maul devastante. Provano a colpire dove la superiorità c’è, ovvero a partire dalle touche, e in effetti arriva la meta di Dempsey. La partita si potrebbe ancora girare, ma i Pumas sono già oltre. No, non possono bastare un paio di giocate, per mettere sotto gli argentini. Questi sono abituati a soffrire a livelli inimmaginabili, e a non mollare mai. Guardatevi la semifinale dell’ultima Coppa del Mondo: nel primo tempo dall’Australia hanno preso tre mete una diversa dall’altra, perso giocatori capitali per l’economia del gioco, mangiato fango e polvere. Eppure a 10 dal termine sono sotto 22 a 15, a distanza di bonus. Questi non mollano in queste occasioni, figuratevi quando tutto gira bene. Non sentono nemmeno la pressione, continuano ad attaccare palla in mano. Roncero, Scelzo, Albacete prendono a testate la difesa irlandese, Contepomi ha messo il piede in convergenza e non sbaglia più nulla, nei raggruppamenti gli irlandesi non tengono più una palla che sia una. E dal 21 a 15 al 27 a 15 il passo è breve. O’Driscoll è ancora lì, irriducibile, a metà campo. Prova ad andare oltre, ma se ti arrivano due argentini affamati la palla la devi lasciare. El Mago calcia a seguire, salgono tutti. È uno spettacolo di cattiveria agonistica, di muscoli e dei che ogni tanto si degnano di guardare anche quello che non è vestito da prima comunione. Rubano ancora palla, Pichot ha sentito qualcuno chiamare la palla.

El Mago.
Drop di sinistro.
Ciao.

Alejandro Coccia, telecronista storico del rugby argentino, dopo l’ormai canonico “Aaaaaaaadentroo!” esplode in un “Fenomeno, fenomeno”. Dagli spalti parte il coro “Maradò Maradò”.

Perché in fondo hanno capito che un 10 così, uno che tratta la palla in quel modo, forse, dalle loro parti l’hanno già visto passare. Solo che giocava un altro sport. Il Man of the Match, però, non è lui, e non lo è nemmeno don Felipe Contepomi, che nella ripresa ha preso per mano tutti e ribaltato tutto il verde del mondo. Nossignori, il vincitore è Gonzalo Longo, professione numero 8, e se la cosa vi stupisce allora siete condannati a riguardarvi la partita. Capirete, raggruppamento dopo raggruppamento, come mai uno come El Mago, uno che segna tre drop e distribuisce sonetti al piede in giro per il rettangolo verde, non sia comunque il migliore in campo. Longo è praticamente inarrestabile, terminale, è di una cattiveria agonistica incommensurabile. Devastante in avanzamento. È l’anima e il nocchiero dei Pumas. Uno dei nocchieri, i leader sono tantissimi, a cominciare da Pichot, che parla e incoraggia sempre. Passando per Contepomi e Ledesma, che in campo non parlano, eseguono. Finendo con Longo, che terminerà la sua carriera in Nazionale contro la Francia, nella finale per il terzo posto. Segneranno 41 punti ai francesi e li estrometteranno dal podio in un Parco dei Principi inizialmente irreale, ma via via sempre più dalla loro parte.

Arriva un terzo posto storico, ma che solo chi non li ha visti sul campo può considerare sorprendente. Solo chi non ha visto le lacrime nell’inno, i raggruppamenti, i drop del Mago, chi non ha sentito le urla di Pichot o i placcaggi di Longo e Ledesma non può capire quel che è stato, a Parigi e dintorni. Solo loro possono fermarsi al bronzo di una medaglia, e non arrivare all’oro del cuore.

Cristian Lovisetto

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