All Blacks, la perfezione che fa rima con skills e ricambio invisibile

I tutti neri si confermano un rullo compressore indipendentemente da uomini e ruoli. E sul podio di sabato…

nuova zelanda all blacks

ph. Jason Reed

Dopo aver perso tre Test Match a giugno contro l’Inghilterra, i Wallabies di Cheika hanno affrontato la settimana che ha portato alla partita di apertura del Rugby Championship contro gli All Blacks ricordando quotidianamente ai giornalisti che partivano da “underdogs” e che gli All Blacks erano comunque la squadra da battere. Beh, Michael & Co. non ci sono andati tanto lontani, anzi sono incappati nella più larga sconfitta in terra natia contro i rivali oltre manica, fissando il risultato sull’8 a 42 in favore dei Campioni del Mondo in carica.

 

Si può dire e ridire un po’ di tutto su questa Australia. A nostro parere l’indicazione cardine della frattura nella struttura della squadra vice campione in Inghilterra è data proprio dalla stagione terribile che le franchigie gialloverdi hanno vissuto in Super Rugby. I giornali hanno riportato che Cheika ha assemblato la squadra subito dopo la fine del Super Rugby e qui si insidia un problema fondamentale, ovvero che questi giocatori nell’ultimo mese non hanno toccato palla né affrontato l’intensità kiwi. Non solo ma gente come il mediano mischia Will Genia, che è stato richiamato da Cheika dalla Francia dopo il dramma di giugno, non mette piede in campo con il suo Stade Francais da gennaio per l’operazione al ginocchio infortunato durante la RWC 2015. Non si può di certo chiedere a Genia di poter giocare ai ritmi imposti dagli All Blacks dopo sei mesi di completo riposo. Già i ritmi imposti dagli All Blacks, parliamone.

 

Questa è una squadra che non conosce fine. Da quel quarto di finale iridato perso a Cardiff nel 2007, gli All Blacks hanno dimostrato che non importa chi è in campo, lo standard della prestazione pianificato e realizzato è sempre altissimo, da Campioni del Mondo, appunto. Sabato sera gli All Blacks sono scesi in campo senza sei giocatori che hanno definito il rugby mondiale negli ultimi otto anni, eppure hanno espresso una qualità di rugby giocato che qui in patria non fa rimpiangere nessuno. Il segreto? Semplice, “Skills for Skills”. Le abilità di chi entra sono esattamente di alta qualità come quelle di chi lascia. E non parliamo solo di chi ha appeso la maglia nera al chiodo per sempre tipo Carter o McCaw ma anche di chi entra a partita iniziata come sostituito del XV di partenza. Lo abbiamo detto più di una volta nell’ultimo anno, forse essendo una cosa così semplice può passare inosservata, ma lo ripetiamo: le vittorie degli All Blacks si fondano sulle skills di base. Chiunque indossi la maglia nera della nazionale deve saper eseguire a livello di perfezione passaggio e ricezione, placcaggio, pulitura nel breakdown e processo decisionale. Nel quadriennio che si è susseguito alla RWC2011, giocatori e staff hanno puntato il dito sui fondamentali ed hanno intrapreso un programma di sviluppo che li avrebbe portati a riprodurre i fondamentali come nessun altro. Con quale differenza? Che non è importante il ruolo, ogni giocatore deve sapere eseguire ogni fondamentale con tutti i crismi. Ed è per questo motivo che vediamo gli avanti in posizioni allargate eseguire passaggi e offload alla SBW, oppure i tre quarti saper rubare palla nel breakdown come il migliore dei Sam Cane. Il livello di esecuzione è stato nuovamente alzato oltre il limite precedente, cosa che è possibile solo grazie alla continua ed ossessiva ripetizione dei fondamentali in allenamento, extra allenamento e riscaldamento prima della partita. La confidenza nel maneggiare il pallone da parte di ogni giocatore permette a Beauden Barrett di poter giocare continuamente in affondo, di mettere gli avversari in continua pressione. Riprendendo, infatti, la sfida di sabato, gli All Blacks non hanno dato nessun respiro ai Wallabies e li hanno attaccati come un rullo compressore, da ogni lato, in ogni momento di possesso e facendo forza sulle proprie qualità di gestione del pallone con le mani. Così, facile. L’Australia invece era in continuo sforzo nel ri-organizzare l’attacco dopo aver riconquistato il possesso anche perché Foley giocava incredibilmente arretrato.

 

Per finire i nostri tre migliori tutti neri della serata:
Medaglia di bronzo a Sam Cane. È cresciuto come ombra del più grande di tutti i tempi, criticato e sfidato dagli ultimi arrivi di Ardie Savea e Blake Gibson. Se avete un dubbio sul perché sia li con la maglia numero 7, riguardate la partita di sabato: Sam era o-vun-que. Ci vorrà ancora tanto da lavorare per Ardie o Blake prima che gli possano togliere il posto.

Medaglia d’argento a Dane Coles. Il capitano degli Hurricanes non doveva nemmeno essere a Sydney. Nei quarti di finale di Super Rugby contro gli Sharks il tallonatore si è rotto un paio di costole che lo hanno visto a bordo campo nella semifinale contro i Chiefs ed essere sostituito al 45’ nella finale vinta contro i Lions a Wellington. Ma l’infortunio di giovedì al crociato per Nathan Harris (stagione finita) e il concussion test non passato da parte di Codie Taylor, lo hanno visto togliersi la tuta e giocare per 78 minuti. Finita la partita ancora dolorante ha affermanto che le rotazioni del corpo sono ancora difficili da effettuare e che quando il team manager gli ha detto di prepararsi per andare in campo pensava stesse scherzando. Alla conferma dell’uscita di Codie Taylor ha semplicemente risposto “ok, I’ll go”.

Medaglia d’oro a Beauden Barrett. Ha sempre avuto qualcuno davanti, prima Carter e poi Cruden, accettando la panchina come utility back. Ma in questo 2016 ha preso il toro per le corna e portato gli Hurricanes a vincere il titolo di Super Rugby ridicolizzando le difese avversarie. Ha buttato nei rifiuti il complicato sistema per i calci che non lo faceva performare ed ha ri-adottato il suo sistema di quando era più giovane, semplice ed efficacie. Sapeva in cuor suo che se avesse brillato, Steven Hansen non avrebbe potuto trovare più scuse per non farlo partire titolare. È la “cosa” più vicina a Dan Carter che attualmente corra sui campi da rugby a livello mondiale. E noi che lo seguamo da tanto non vediamo l’ora di vederlo esplodere l’anno prossimo durante il Lions Tour 2017. Proprio come Dan Carter fece nel 2005.

 

di Melita Martorana

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