Per chi suona la campanella: Marco Pastonesi racconta Tom Heeney

Dalla Nuova Zelanda agli Anni Ruggenti, “La storta e la furba” rimbalza tra rugby e pugilato. E finisce nelle mani di Hemingway

ph. Action Images

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Stava camminando sulla spiaggia quando si accorse che due donne, catturate dalla risacca e risucchiate dalle onde, almeno a giudicare dall’affanno e dall’urgenza con cui agitavano le braccia, stavano annegando. Si tuffò, le raggiunse, lottò strenuamente per portare a riva la prima, Miss Galloway, poi si tuffò ancora e aiutò un altro soccorritore ad acciuffare e salvare anche la seconda, Miss Rhodes. Ma solo Miss Rhodes riuscì a sopravvivere alla terribile esperienza.

 

Il gesto non passò inosservato. La Royal Humane Society of New Zealand, in una seduta della corte generale a Christchurch, stabilì che “il coraggio e l’umanità mostrati da Thomas Heeney nel tentare di salvare Elizabeth Galloway e nell’aiutare a salvare Vera Rhodes dall’annegamento a Waikane Beach, Gisborne, il 23 gennaio 1918, suscitano l’ammirazione della corte e secondo giustizia gli danno diritto a una medaglia di bronzo, che gli viene dovutamente attribuita”.
Ma Tom, così lo chiamavano tutti, un idraulico di 20 anni e origini irlandesi, non ne voleva sapere. Pensava di avere svolto soltanto il suo dovere. Un atto naturale, istintivo, obbligatorio. Tant’è che, quando gli comunicarono che ci sarebbe stata una cerimonia ufficiale, lui disse che non era proprio il caso, e quando la cerimonia ufficiale comunque si tenne, lui non si fece vedere. La medaglia di bronzo gli venne spedita per posta.

 

Tom Heeney aveva lo sport nel sangue. Atletica: gareggiava nelle prove di velocità. Nuoto: appena aveva un’ora libera, si tuffava proprio nelle acque della Waikanae Beach. Rugby: il massimo lo toccò quando fece parte della selezione di Hawkee Bay e Poverty Bay per giocare contro il Sud Africa, nel 1921. E boxe, un’arte imparata dal padre e trasmessa dal fratello maggiore in una baracca di alluminio adibita a palestra. Tom era una roccia alta un metro e 79 e pesante una novantina di chili. Il suo record è 69 incontri, 37 vittorie, di cui 15 per k.o., otto pareggi, due no contest e 22 sconfitte. Di queste, una per il titolo mondiale: a New York, nello Yankee Stadium, il 26 luglio 1928, contro Gene Tunney.

 

Era l’età dell’oro, per il pugilato. Luci, soldi, donne, jazz, scommesse. Le cronache raccontano di un Heeney coraggioso e valoroso, duro a morire. Non a caso il soprannome che gli aveva regalato il giornalista e scrittore Damon Runyon – “The Hard Rock from Down Under”, la dura roccia dell’altra parte del mondo – diceva tutto della sua resistenza. Ma Tunney, il campione, avrebbe demolito anche una chiesa. L’arbitrò interruppe il match all’undicesima delle 15 riprese, e decretò la vittoria di Tunney. Ma il match fu duro anche per lui: subito dopo, attaccò i guantoni al chiodo. A Tom – “Honest Tom” era un altro dei suoi soprannomi – restò un assegno di 100 mila dollari, che gli cambiarono la vita.
Nel frattempo Heeney si era trasferito dalla Nuova Zelanda negli Stati Uniti, aveva aperto un bar a Miami, si era fatto una bella clientela e qualche amico, il più prestigioso di tutti era Ernest Hemingway, con cui andava a pescare e parlava di boxe. E forse, chissà, magari, anche di rugby.

 

Di Marco Pastonesi

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