Sei Nazioni ad aprile, equiparazioni lampo: nuovo World Rugby e vecchie battaglie

Dal nuovo Board subito due proposte molto forti. E i tempi potrebbero essere maturi per cambiare le cose…

ph. Henry Browne/Action Images

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Il nuovo Board alla guida di Ovalia si è insediato da poche ore, ma già si pensa al prossimo ciclo di governo della palla ovale mondiale. Anni decisivi quelli che verranno per il nostro sport, sempre più in bilico tra espansione globale, interessi crescenti, apertura a nuovi mercati e aumento delle competizioni ma anche nodi a tutto ciò correlati come gestione del calendario internazionale e tutela della salute dei giocatori.
Una questione sempre più spinosa e difficile da risolvere, per la difficoltà/impossibilità di accontentare tutti trovando la quadra tra campionati e stagioni che occupano gran parte dell’anno, e con la federazione neozelandese ultima in ordine di tempo a fare la voce grossa rifiutando di programmare qualsiasi Test Match oltre il 2019 a causa dei mancati cambiamenti al calendario internazionale negli ultimi anni.

 

L’obiettivo dichiarato dell’Emisfero Sud è quello di spostare la finestra internazionale estiva da giugno a luglio e in questo senso va letta la forte dichiarazione arrivata dal nuovo presidente di World Rugby Bill Beaumont, che ha aperto allo slittamento del Sei Nazioni ad aprile: “Il gioco è cambiato e dobbiamo farlo anche noi – ha dichiarato al Times – E’ un’opzione a cui dobbiamo essere preparati e potrebbe essere la soluzione. Tutti devono restare pronti, anche ad arrivare ad un compromesso”. Tutto questo dopo che recentemente il chief executive del torneo più antico John Feehan aveva definito questa possibilità “non negoziabile”.
Ricordiamo, ancora una volta, che il Sei Nazioni è un torneo privato di proprietà delle federazioni partecipanti e che solo il board può prendere una simile decisione. In teoria World Rugby può sbraitare quanto vuole con il torneo che rimane immobile. In teoria…

 

Assieme a Beaumont, è stato eletto come suo vice l’argentino Agustin Pichot, 71 caps con i Pumas tra il 1995 e il 2007 e ancora tanta voglia di lottare fuori dal campo. Nel suo primo intervento da vice-chairman di World Rugby, Pichot ha attaccato uno dei nervi più scoperti e delicati dell’attuale regolamento mondiale: l’eleggibilità dopo tre anni di residenza: “Qualcuno mi ammazzerà, ma dobbiamo cambiare la regola”, ha dichiarato Pichot interpretando verosimilmente la volontà della parte più debole di Ovalia, quella delle nazioni che vedono potenziali propri giocatori scegliere di rappresentare paesi più forti. “Credo non sia giusto, capirei già di più una regola di cinque anni… Nei prossimi sei mesi ne discuteremo, è sull’agenda. E’ importante per le nazioni avere una propria identità e da un punto di vista culturale è motivo di ispirazione per i più piccoli. Prendere un giocatore, per esempio tongano, mettergli la maglia di un’Accademia e vederlo giocare per l’Irlanda, beh sono contro a tutto ciò”.
Ma anche qua, tra il dire e il fare ci sono di mezzo tanti aspetti e anche le dichiarazioni del CEO di World Rugby Brett Gosper, che ha fatto sapere della cancellazione della questione tre anni dall’agenda del Board, non più tardi dello scorso ottobre.

 

Risolvere tutte le questioni sarà davvero difficile. Quello che è certo è che rispetto a qualche anno fa il rugby e i suoi equilibri stanno cambiando, dentro e fuori dal campo. Contestualmente all’elezione del nuovo Board, World Rugby ha annunciato anche l’ingresso di Georgia, Romania e Stati Uniti nel Council, sempre più aperto alle Tier Two Union alla ricerca di peso politico e potere decisionale (e dal primo luglio l’Italia sarà presente con due rappresentanti e tre voti). Idee e volontà di modificare alcuni aspetti del gioco, come quelle sopra riportate, potrebbero trovare all’interno del Consiglio un terreno sempre più fertile e aperto.

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