L’America vera e quella scozzese: il canto delle sirene ora arriva da lì

Leonardo Sarto che va a Glasgow, Filippo Ferrarini che (forse) va negli USA. Dovremmo farci qualche domanda

ph. Toby Melville/Action Images

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C’è un’America che si trova là, al di là dell’Oceano Atlantico, la conosciamo bene e su questo ci torneremo su dopo. Ora però dobbiamo stare al di qua di quel mare, perché a quanto pare c’è una nuova America anche qui nel Vecchio Continente, almeno per chi gioca a rugby. E no, non stiamo parlando di Francia e Inghilterra, che quel tipo di Americhe le conoscevamo già. No, la nuova America europea è su, oltre il Vallo di Adriano, in Scozia.
Quelle terre sono infatti state scelte da due giocatori azzurri molto importanti: Simone Favaro e Leonardo Sarto.
Ora, mettiamo subito le mani avanti: che due rugbisti decidano di andare a giocare a Glasgow, in un paese dove la palla ovale è molto più di una tradizione ci sta. Che due atleti nel pieno o quasi della loro maturità (Favaro ha 27 anni, Sarto 24) scelgano di fare una esperienza all’estero anche. Chi di noi non vorrebbe farla?
Il problema è un altro: e cioè che data la loro età e la loro importanza nell’economia del gruppo azzurro forse Favaro e Sarto sono quel target di giocatori che bisognerebbe fare di tutto per trattenere al di qua delle Alpi. Anche perché, diciamocelo chiaramente, facciamo fatica a credere che in Scozia gli ingaggi siano così enormemente più alti che in Italia. Non stiamo parlando di Premiership o Top 14. E allora dovremmo chiederci che cosa si può andare a cercare a quelle latitudini e la risposta è: un rugby più strutturato e meglio organizzato. E non stiamo parlando solo di quello che avviene sul campo. Favaro e Sarto sono andati a prendersi altrove un qualcosa che tutti i giocatori professionisti vogliono.
La Scozia da qualche anno ha intrapreso una ristrutturazione importante e ha iniziato un’opera di consolidamento che sta dando i suoi risultati. I giocatori lo “annusano” e lo sanno, più che comprensibile che rispondano a certe sirene, ma per il nostro movimento l’addio di Favaro e Sarto sono un brutto segnale e la FIR avrebbe dovuto/dovrebbe fare qualcosa per impedire che giocatori per noi fondamentali vadano a rinforzare altre franchigie celtiche, realtà cioè con cui almeno economicamente si può combattere. Realtà su cui la federazione può intervenire zero sulla quantità di impegno richiesto al giocatore nell’arco di una stagione. Le nostre franchigie funzionano? E quanto funzionano? Partenze del genere una qualche risposta la danno.

 

Questo per quel che riguarda Favaro e Sarto, perché poi c’è l’altra America, quella “vera”. Un posto dove il rugby si sta sviluppando a grande velocità grazie alle risorse economiche e umane. E grazie a una cultura sportiva importante, profondamente legata al sistema scolastico. Qui sta per iniziare il primo campionato professionistico di rugby e qui – pare – si trasferiranno anche due nostri giocatori, anche loro fuoriusciti dalle Zebre (ma questo non è importante, avessero lasciato Treviso il discorso non cambierebbe), ovvero Mirco Bergamasco e Filippo Ferrarini.
Qui le domande che un po’ tutto il nostro movimento dovrebbe porsi riguardano il giovane terza linea: Mirco infatti è uno dei giocatori-simbolo del nostro rugby ma ha una carta d’identità con un po’ di primavere (33) in più rispetto a Ferrarini, che di anni ne ha 26. Il fatto è che quest’ultimo è un giocatore dalle potenzialità importanti, frenato forse un po’ troppo spesso da gravi infortuni, ma comunque uno di quei nomi da non farsi scappare via a cuore troppo leggero (tanto è vero che a OnRugby risulta che una squadra scozzese un paio di anni fa fece pressione per ingaggiarlo anche se sotto contratto, ma la franchigia federale oppose il suo rifiuto). Tanto più se davvero Ferrarini dovesse davvero decidere di andare negli USA, dove c’è un torneo agli albori e dalle enormi potenzialità, ma dove tutto è ancora da verificare e capire che genere di competizione andremo a vedere. Ed eventualemente lui a giocare.
Certo c’è da considerare l’aspetto meno sportivo della vicenda, ovvero una esperienza di vita tanto importante quanto intrigante: se Stati Uniti saranno questa prospettiva avrà avuto sicuramente il suo peso.
O forse no, forse Ferrarini ha rescisso il contratto perché non trovava nessuno spazio alle Zebre ma non andrà al di là dell’Oceano. Lo scopriremo tra un po’. Ma la domanda rimane: le franchigie non erano nate per tenere in Italia i nostri giocatori più promettenti e richiamare quelli già all’estero?

 

Il Grillotalpa

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