I Briganti, il tour de France e il Movimento Italia: pensieri da Jacques Brunel

Una serata con gli Old Piacenza per il ct della nazionale. E Marco Pastonesi che raccoglie le sue impressioni

ph. Sebastiano Pessina

ph. Sebastiano Pessina

Ha occhialini da intellettuale, mani da contadino, gambe da cowboy. Ha un passato da estremo, un presente da allenatore, un futuro ancora da decifrare. Ha 61 anni, di cui 45 nel rugby, e ancora qualche mese di contratto con l’Italia. Jacques Brunel, visto da vicino, pochi giorni fa, all’annuale riunione dell’Old Rugby Piacenza. Guarda negli occhi, a domanda risponde sempre, sorride il giusto. Brunel che racconta la sua passione per il ciclismo: “Tour de France 1991, tappa da Jaca a Val-Louron, 232 chilometri con il Tourmalet. Riesco a trovare un posto nelle otto auto ufficiali per gli invitati speciali dentro la corsa. E assisto alla vittoria di Chiappucci, al dominio di Indurain, soprattutto al crollo di LeMond. La folla, un muro che diventa, al passaggio dei corridori, un corridoio, LeMond che non ha la forza di guardare avanti ma sotto, il mezzo della ruota anteriore. E pur spingendo, ingobbito, non va più avanti”.

 

Brunel che confessa le sue preferenze: “Un solo stadio? Allora il Millenium di Cardiff, perché è un immenso teatro, perché quel teatro è nel cuore della città, perché il giorno della partita in quel teatro c’è tutta la città e forse tutto il Galles, e perché c’è anche tutta la storia e la tradizione e la passione del Galles per il rugby”, “Un solo inno? Allora tutti gli inni, perché ciascun inno ha un suo fascino, una sua forza, una sua energia”, “Un solo colore? Allora il nero, perché il nero degli All Blacks è il punto di riferimento e forse anche di arrivo, un traguardo, la meta”.
Brunel che confida la sua scelta: “Prima viene la mia decisione di non rinnovare il rapporto con l’Italia, poi la decisione della Federazione di cercare un altro tecnico. Non si è riusciti, dal novembre 2011 a oggi, a procedere tutti insieme verso un comune obiettivo. Ciascuno pensa soltanto al proprio interesse: le due franchigie, le accademie, i club dell’Eccellenza, la stessa Federazione, incapaci di lavorare per il rugby italiano”.

 

Brunel che stavolta gioca anche al largo: “La mia prima partita, da ragazzo, fu un incubo: giocavo estremo e non sapevo che cosa dovessi fare”, “Quando mi chiamano, se posso, vado. Che sia un grande club o una piccola società. Per incontrare, conoscere, testimoniare, imparare, insegnare”, “Una volta, dopo un ‘team building’, chiesi di devolvere il mio compenso ai Briganti di Librino, quella straordinaria società che propone rugby a Catania in un’area sottratta alla mafia. Mi dissero che, per problemi amministrativi, non era possibile. Non mi persi d’animo: mi feci dare il compenso e poi lo versai ai Briganti”, “Il Sei Nazioni è il torneo più affascinante perché ogni anno la situazione cambia, i valori si modificano, i risultati sono incerti”, “Per l’Italia è un momento difficile, molti gli infortunati, da Manici a Geldenhuys, solo per dirne due. Ma stiamo lavorando per allargare e ringiovanire il gruppo. La Coppa del mondo ha confermato che esistono nuovo e importanti personalità”, “Che cosa farò dopo, non lo so. Ma non me ne preoccupo. E’ sempre stato così: chiusa un’esperienza, se n’è aperta un’altra”.

 

di Marco Pastonesi

 

UPDATE: Marco Pastonesi tiene a precisare alcuni punti. Ecco cosa ci scrive

Chiedo subito il perdono: i Briganti di Librino vengono da Catania (Messina è stato un lapsus, forse per la mia sconfinata stima per Arturo Sciavicco, il William Webb Ellis della Trinacria). Chiedo poi l’attenzione: ho riportato un estratto della chiacchierata amichevole con Brunel, facendo emergere parole più o meno conosciute (la passione per il Tour de France), più o meno sorprendenti (il sostegno economico ai Briganti), più o meno esplosive (la delusione per il rugby italiano). Stop. Nessun giudizio: non è mio compito, e se mai, non adesso, non qui. Ma qui voglio dire quanto Brunel sia persona vera, autentica, degna, diritta. Avrà commesso i suoi errori, ma a me sembra un uomo con cui condividere il mangiare e il bere, il rugby, un po’ di vita. E di tutti i c.t. stranieri, Brunel è stato l’unico che, prima del primo giorno di lavoro, era già andato a lezione di italiano. Qualcosa vorrà pur dire. Per me, molto.

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