L’Italia saluta la RWC: cosa rimane di un Mondiale poco azzurro

Un piccolo elenco di persone, spunti e momenti di una edizione iridata che non ricorderemo con molto piacere

ph. Sebastiano Pessina

ph. Sebastiano Pessina

Finita. L’avventura azzurra al Mondiale inglese è ufficialmente terminata e oggi il gruppo rientra in Italia con i giocatori che tornano così a disposizione dei loro club. Un Mondiale che porta inevitabilmente il segno negativo davanti perché l’obiettivo prefissato – la qualificazione ai quarti di finale per la prima volta nella nostra storia – non è stato raggiunto. Il terzo posto che garantisce il nostro approdo diretto alla competizione iridata che si terrà in Giappone nel 2015 era il risultato minimo, anzi, lo davamo un po’ tutti per scontato. Il mancato raggiungimento di quel terzo posto avrebbe avuto una sola definizione: disastro.
Nei prossimi giorni parleremo a lungo di quanto avvenuto in Inghilterra, oggi però vogliamo ricordare in rigoroso ordine sparso alcuni fermo-immagine della spedizione iridata. Un piccolo elenco non esaustivo ma (speriamo) significativo.

 

Obiettivi: come dicevamo prima era solo uno, il raggiungimento per la prima volta nella nostra storia dei quarti di finale. Mancato, ma anche di parecchio. Nonostante la buona prova dell’Olimpico di Londra che fossimo lontani dall’Irlanda non era un mistero (e meno male che contro di noi il XV in maglia verde non ha giocato con la foga vista a Cardiff nella partita con la Francia…) ma anche una Francia non entusiasmante ci è stata nettamente superiore. E con il Canada abbiamo patito le pene dell’inferno, tanto che se a Leeds avessero vinto i nordamericani non ci sarebbe stato granché da dire. Abbiamo messo sotto solo la Romania: sì, abbiamo sofferto, ma soffrire ci sta e a Exeter gli avversari sono riusciti a rientrare in partita solo quando noi abbiamo deciso che la stessa era finita nonostante il cronometro dicesse altro. Insomma, ci abbiamo messo parecchio del nostro nel manetenerla viva. Alla fine, stringi stringi, il terzo posto non è un risultato da buttare via per quello che si è visto sul campo.

 

Infortuni: hanno segnato il percorso di parecchie squadre e gli azzurri non ne sono rimasti esclusi. Purtroppo. Morisi, Benvenuti, Esposito, Garcia, Parisse, Ghiraldini, Castro, Rizzo, Masi… Forse ne dimentichiamo anche qualcuno. Alcuni non sono venuti in Inghiltera del tutto, altri ci sono stati meno di quanto avrebbero voluto. E’ vero che altre nazionali hanno dovuto affrontare problemi simili ma la nostra coperta è più corta di altre.

 

Caos Brunel: no, non è un refuso, volevamo scrivere proprio “caos” e non “caso”. Nell’ultimo anno – più o meno – abbiamo più volte scritto di un ct che non aveva più in mano ben salda la barra della nave azzurra, di scelte a volte cervellotiche, poco lineari, di filosfie annunciate e poi disattese. L’ultimo esempio in ordine di tempo è quello che riguarda Simone Favaro: considerato non abile, non gli viene fatta fare la preparazione negli stage di Villabassa, Fiuggi e L’Aquila ma viene poi richiamato per sopraggiunto infortunio. Di un trequarti. E’ solo un esempio.
Jacques Brunel ha un contratto che scade a giugno 2016 ma guiderà l’Italia fino alla fine del prossimo Sei Nazioni. Fino al contrordine che forse arriverà o forse no (propendiamo per questa seconda ipotesi).

 

Villabassa: polemiche, critiche, discussioni a non finire. Ricordate? I giocatori che non si allenano all’inizio della preparazione iridata perché non era stato trovato un accordo su premi, assicurazioni e altri aspetti importanti del movimento. Raduno che poi partirà con una settimana di ritardo. Se il buongiorno si vede dal mattino, dice il veccho adagio. Comunque lo scopriremo nelle prossime settimane: l’accordo trovato tra FIR e giocatori valeva – almeno per quanto riguarda premi e assicurazioni – per il Mondiale, ma c’è ancora da trovare la quadra sul Sei Nazioni.

 

Sergio Parisse: ce la fa o non ce la fa per la Francia? E per il Canada? O forse l’Irlanda. Il capitano azzurro è stato bloccato da in infortunio e ha giocato soltanto per un’ora alla RWC, decisamente poco. Se fosse stato più presente le cose sarebbero andate diversamente? Forse. Di sicuro con lui questa Italia gioca con più personalità, però è anche vero che in campo ci è quasi sempre stato negli ultimi due poco brillanti anni. In un gioco come il rugby nessuno vince o perde da solo, per quanto forte e importante sia. Avere Sergio in campo è sempre meglio che vederlo seduto in tribuna ma l’Italia deve liberarsi di questa dipendenza psicologica, anche perché Parisse non è più un ragazzino di primo pelo e nelle prossime settimane potrebbe anche decidere di lasciare la nazionale, ipotesi questa che lui stesso ha messo sul tavolo delle opzioni.

 

Mauro Bergamasco e Marco Bortolami: due monumenti del rugby italiano che hanno vissuto in maniera difficile in questo Mondiale, uno prima e l’altro alla fine. Il seconda linea è stato escluso a sorpresa alla vigilia delle convocazioni iridate, l’altro è stato portato in Inghilterra ma utilizzato davvero poco. Prima della trasferta nella terra d’Albione di Mauro il ct aveva detto che “è l’azzuro fisicamente più in forma” ma alla fine il campo lo ha visto in tutto per una mezzoretta. Assieme fanno quasi 220 caps e un pezzo importante di storia azzurra che si è chiusa in una maniera che fa molto discutere.

 

Dimissioni: le invocano in tanti, chiedendo la testa di Jacques Brunel. Il tecnico transalpino ha fallito gli obiettivi preposti, già da tempo si sa che non rinnoverà il contratto (ammesso e non concesso che il presidente FIR abbia mai avuto intenzione di proporlo. Un rinnovo intendiamo) ma fino al Sei Nazioni compreso sarà lui a guidare la nazionale azzurra, nonostante rapporti non idilliaci con il gruppo di giocatori. Solo qualche giorno fa Alfredo Gavazzi è stato molto chiaro e ha detto che se Brunel decidesse di andarsene ora sarebbe un grosso problema perché il nuovo ct – che dovrebbe essere Conor O’Shea – farà il tour estivo, ma non arriverà prima.
Nel migliore dei mondi possibili un ct o uno staff tecnico che non ottiene i risultati che si prefigge viene modificato o rimosso, ma in Italia la spina dorsale del settore tecnico non cambia da circa 15 anni, quali che siano le tante risposte arrivate dal campo (di certo non buonissime o esaltanti). Perché dovrebbe lasciare Brunel?

 

Simone Favaro: no, non toneremo sulla sua iniziale mancata convocazione, poi la chiamata e l’utilizzo eccetera eccetera. No, qui parleremo della sua delusione. Quella che gli abbiamo visto negli occhi e letto nella voce nella mixed zone dell’Olimpico di Londra dopo la partita con l’Irlanda erano di una sincerità disarmante, che raramente si incontra negli ambiti sportivi. Da uomini come Simone Favaro (e Ugo Gori, una delle poche note realmente positive di questo Mondiale) il rugby italiano deve ripartire e guardare a Giappone 2019.

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