Italrugby e psicologo: quando le sconfitte arrivano per i cali mentali

Spesso il punto di rottura arriva prima nella testa che nelle gambe. Eppure un rimedio ci sarebbe…

ph. Sebastiano Pessina

ph. Sebastiano Pessina

Lo psicologo di squadra è una delle figure che ogni tanto salta fuori tra addetti ai lavori e tifosi, soprattutto dopo sconfitte in stile Olimpico contro il Galles nell’ultima giornata del Sei Nazioni. In genere l’approccio nei confronti di questa figura è abbastanza netta. C’è chi lo acclama come unico salvatore della patria ovale, e chi proprio non ne vuole sentir parlare. E chi, forse, non sa bene quali siano i compiti di questo professionista.

 

Il fattore discriminante su quanto possa effettivamente servire una simile figura all’interno dello sport, dipende da quanto importante è, nella prestazione dei singoli che compongono una squadra, l’aspetto mentale. E chiunque può facilmente constatare che nell’economia di una performance sportiva l’aspetto mentale conta tanto quanto quello fisico. Tanto se non di più, se pensiamo che senza un’adeguata preparazione mentale qualunque buona condizione fisica e atletica risulta in sé inutile o non spendibile sul piano del gioco. E gli esempi di atleti passati e presenti che si sono letteralmente “sprecati” perché “senza testa” stanno lì a dimostrarlo, così come, viceversa, quelli di atleti che proprio grazie alla loro capacità di stare in campo con la testa hanno sopperito a carenze fisiche. Ciò detto, viene da domandarsi perché se in una squadra esistono figure deputate a preparare al meglio gli atleti dal punto di vista della preparazione fisica, non potrebbe essere altrettanto importante affiancarli ad esperti della preparazione mentale. Per dirla con le parole di John Kirwan, intervistato su queste pagine a fine 2014, “[…] le squadre hanno tre preparatori atletici per prevenire gli infortuni del corpo, perché non avere anche un preparatore mentale per prevenire quelli della testa?”

 

Diverse recenti sconfitte dell’Italia sono da imputare principalmente ad una carenza di tipo mentale rispetto che tecnico-tattica. E l’ultimo match contro il Galles è lì a dimostrarlo.Spesso basta un nulla, un episodio negativo o una soft try, per far crollare di colpo e di blocco le nostre certezze. Usciamo completamente di testa, perdiamo la bussola e subiamo mete su mete. Poi certo, solo un pazzo potrebbe sostenere che tecnicamente e tatticamente siamo a livello di Warburton e compagni, ma la sensazione è che la nostra tenuta mentale spesso abbia deciso in negativo le nostre partite. Perché allora non provare a correre ai ripari?

 

La figura dello psicologo di squadra ancora fatica a conquistare le simpatie di chi si interessa di sport. Talvolta è paragonata a quella di un “guru” motivatore che urla nelle orecchie dei giocatori frasi del tipo “siete i più forti” in perfetto copione americano, in cui la squadretta degli sfigati batte i bulli del college. Oppure può essere identificata con persone tipo Ramel Smith, psicologo dei Milwaukee Bucks (NBA) che assieme all’esperto di decodifica facciale Dan Hill ha convinto i dirigenti della franchigia a scegliere un giocatore al draft di inizio stagione solo in base alla lettura della sua mimica facciale. Ecco, nulla di più sbagliato. Anche perché il lavoro di uno psicologo di squadra si situa prima e più in basso degli ottanta minuti della partita. E’ un lavoro che viene portato avanti nel corso della stagione e a stretto contatto con i giocatori, e che ha il compito di metterli nelle migliori condizioni mentali possibili permettendo loro di esprimersi al meglio, facendo emergere cioè il loro “valore assoluto”, quello non condizionato da intralci di tipo mentale/psicologico. Proprio per questo aspetto di lavoro quotidiano, più che nelle poche settimane in cui la Nazionale sta insieme sarebbe forse più utile che gli staff delle celtiche abbracciassero una simile figura, così da permettere ai giocatori di allenarsi al meglio.
Poi certo, c’è anche l’esempio del Sudafrica, che in vista della RWC si è dotato di uno psicologo, perché, secondo coach Meyer, “l’aspetto psicologico nello sport professionistico diventa sempre più vitale”. Ecco, a volte basterebbe anche solo copiare gli altri. Anche senza necessariamente capire il perché, ma solo per il semplice fatto che l’ha fatto il Sudafrica. Senza se e senza ma.

Di Roberto Avesani

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