Aaron Cruden e quella freddezza che “spiega” gli All Blacks

Una vittoria difficile arrivata grazie a una decisione che in pochi avrebbero preso. E che ci dicono tanto della mentalità neozelandese

ph. Sebastiano Pessina

Al 75esimo minuto sul 15 pari, agli All Blacks viene dato un calcio di punizione praticamente sulla linea dei 22 inglese. Basta che Cruden la butti dentro e la squadra di casa si troverebbe avanti a 4 minuti dal fischio finale. Invece no. Accordandosi solo con Conrad Smith e Bauden Barrett e assicurandosi con Nigel Owens di aver il tempo necessario per una nuova azione, l’apertura neozelandese si lancia in un “tap-and-go” che porterà ad una prima meta annullata ed una seconda meta realizzata da Corad Smith che varrà l’imbattibilità ad Eden Park.
Quell’azione di Aaron Cruden che ha lasciato tutti col fiato sospeso, con un prolungato “oooooh” che ha fatto eco nei media box così come sulle tribune dell stadio, è la chiave di lettura degli All Blacks: squadra cinica, arrogante e soprattutto di ghiaccio nei momenti che contantano. Ritorneremo su questo punto più in là. Nel frattempo tenetevelo a mente.
Questa Inghilterra B che di B ha dimostratato poco e niente, è frutto di un magistrale lavoro dell’allenatore Stuart Lancaster e del suo staff tecnico. Lancaster sta preparando la squadra alla Coppa del Mondo. Non importa chi c’è in campo, l’intensità necessaria deve essere sempre e comunque la stessa, quella intensità che può far giocare tutti e 30 i ragazzi allo stesso livello contro nazioni come la Nuova Zelanda e il Sudafrica.

 

I grattacapi però per Lancaster iniziano ora. In conferenza stampa il ct ha ammesso che tutte e tre le partite erano il target principale, ma che ora la seconda sfida di sabato prossimo è indispensabile per livellare la serie e giocarsela in quel di Hamilton il 21 Giugno. C’è chi dice che la settimana prossima gli All Blacks vedranno ancor più bianco. Ne siamo proprio sicuri? Certo è che gli All Blacks hanno sentito la mancanza di certi giocatori. Per esempio Corey Jane non ha né la potenza, né la presenza fisica di Julian Savea, Izzy Dagg non ha brillato e c’è chi ha storto il naso nel vederlo sostituito con Bauden Barrett.
Nel primo tempo la NZ non ha ottenuto nulla dal breakdown, però ha superato la prima settimana di rodaggio. Steve Hansen ha affermato che il lavoro di base, la spiegazione della strategia, l’angolatura della serie sono ora stati assimilati e che quindi da lunedì la squadra può dirigere l’attenzione alla sola esecuzione del piano d’attacco, al rifinire le giocate ed ad essere sicuri che le rimesse laterali siano dritte, i calci in posizione e le mischie non cadano.
Dall’altra parte Lancaster ha ora una scelta da fare: inserire le stelle della Premiership e tentare di amalgamarle il più in fretta possibile con il suo piano di gioco o ringraziare i ragazzi di sabato sera concedendo loro una seconda partita. Molti allenatori vorrebbero dover fare scelte come queste…

 

L’impressione complessiva è che per la prima volta dalla Coppa del Mondo 2011 finalmente assistiamo ad una vera e propria battaglia che gli All Blacks hanno aspettato avidamente dopo la quasi facile cavalcata contro l’Irlanda e il colabrodo francese. E’ il sapore del “Test Series” come negli anni ’70 ed ’80 prima dell’avvento del professionismo. Mentre la maggior parte degli addetti ai lavori kiwi avevano etichettato questa prima uscita inglese come un “gruppo di poms in vacanza down-under” i nazionali in nero sapevano benissimo a cosa andavano incontro.
Conrad Smith e un rinvigorito Jerome Kaino hanno confermato che si aspettavano l’Inghilterra, non la B o C, ma la nazione che più delle altre entra sottopelle, la nazione dove la vittoria contro gli All Blacks nel 2003 è ancora considerata festa nazionale.
E’ stata una partita combattutta, due nazionali che hanno sì commesso errori di base ma che in nessun modo avrebbero lasciato all’avversario la possibilità di sfondare la difesa a loro piacimento.
Gli inglesi sono qui per vincere la serie e la Coppa del Mondo ma di fronte hanno gli All Blacks.

 

Il commento più usato per questa partita in Nuova Zelanda è stato “noiosa” per i continui stop arbitrali e la mancanza di mete. Noi andiamo controcorrente e diciamo che questa partita è il risultato di 7 anni di lavoro sulla tenuta mentale, la cui mancanza da parte di McCaw e compagni provocò la debacle di Carfiff nel 2007.
E qui mi torniamo alla chiave di lettura. Quel “tap-and-go” di Aaron Cruden, il colpo di genio, il senso del gioco, la consapevolezza che senza rischiare non si vince. Una maturazione nel processo decisionale del giocatore che ci fa chiedere se il ritorno di Dan Carter sia così assolutamente necessario. Sì, perchè di questo si tratta. Cruden dimostra di avere in mano le redini della squadra più forte al mondo e di non perdere la calma nei momenti decisivi. In conferenza stampa Capitan Richie McCaw ha commentato sull’episodio: “No, Aaron non ha cercato i miei occhi per l’approvazione. E’ partito. Sì, mi ha lasciato sorpreso anche se alla fine la meta e la vittoria ha ripagato l’intuizione. Alla fine questo è cio’ che insegnamo alla squadra. Devono essere grandi abbastanza per prendere le decisioni importanti nei momenti importanti. E non posso che appoggiare Aaron. Ha anche evitato di giocare gli ultimi tre minuti con la palla nelle mani degli inglesi. Non sempre sono in campo, e se per ogni giocata ogni giocatore deve cercare la mia approvazione non andremmo da nessuna parte. Si vince con freddezza, intuizione e conoscenza del gioco”.
La Nuova Zelanda non meritava di vincere la partita per la propria prestazione, ma ha meritato di vincere perché sa come vincere quando è necessario.

 

di Melita Martorana

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