1996-2014: gioielli, gioie e delusioni dell’Heineken Cup che chiude lo scrigno

A Cardiff l’ultima finale di un coppa che poi andrà in soffitta. Antonio Raimondi ne ripercorre la storia e ne traccia un bilancio

ph. Paul Harding /Action Images

Sabato al Millenium Stadium andrà in scena l’ultima partita nella storia della Heineken Cup. Da finale a finale, dal 1996 al 2014, il mondo del rugby è passato attraverso un’evoluzione che soltanto i più visionari, avrebbero potuto prevedere diciotto anni fa. La città della finale è la stessa, Cardiff, senza dubbio il luogo più bello del mondo per vivere una partita di rugby, ma lo stadio non è più il vecchio Arm’s Park.  Ora c’è il Millenium Stadium. Nel 1996 ad assistere alla prima finale tra Tolosa e Cardiff le tribune erano mezze vuote con poco più di ventimila spettatori, sabato per la resa dei conti tra Tolone, campione in carica, e Saracens non ci sarà un solo posto libero dei 72.500 a disposizione. In televisione ci sarà, per noi italiani, ancora una volta Skysport, mentre nel 1996 nessuna televisione italiana trasmise la finale, e qui possiamo aprire l’album dei ricordi, perché la prima finale siamo riusciti a vederla grazie al satellite, ancora non c’erano le trasmissioni in digitale, e facendo girare la parabola si potevano intercettare i canali di servizio di tutta Europa, catturando eventi sportivi e i famosi fuori onda. Fu così impossibile intercettare il 21 a 18 di Tolosa su Cardiff, dopo i tempi supplementari.

 

Anche se qualcuno storcerà il naso, la rivoluzione del rugby è stata alimentata dalla televisione e la Heineken Cup è l’esempio più importante.  Il Sei Nazioni fonda le radici nella storia e nel costume dei vari paesi. Ora anche da noi è diventato fenomeno che fa accorrere la folla, sia allo stadio sia davanti alla televisione. La Coppa per i club è invece il classico prodotto nato e cresciuto per la televisione e fino a quando non c’è stato un broadcaster che credesse nell’evento, non c’è stato il salto di qualità. Non a caso, il vero cambio di passo, la competizione l’ha avuto a partire dal 2004, quando in Inghilterra BSKYB ha creduto nella crescita del torneo, investendo in innovazione. La Sky inglese ha segnato i nuovi standard qualitativi per le produzioni televisive legate al rugby. Ha bombardato i suoi abbonati di promo e partite, esaltandone il potenziale.  I club, da parte loro, hanno sfruttato le maggiori risorse, per adeguare e migliorare le proprie strutture e i propri organici. La competizione è così diventata un vero affare.
La lezione da apprendere da questa storia di successo è che lavorando insieme è possibile costruire uno spettacolo sportivo di alto livello, capace di attirare risorse. Si stima in circa 44 milioni di sterline l’utile per l’Heineken Cup 2014, mentre con la “Coppa che sarà”  a partire dal prossimo anno, si prevede di raddoppiare gli introiti nei prossimi cinque anni.

 

Questo lungo preambolo, ci è servito per inquadrare il torneo e liberarci verso i ricordi di questi anni favolosi di Heineken Cup. Alti e bassi, gioia e dolore, a seconda che ti schieri da una parte o dall’altra. Come l’incubo di Clement Poitrenaud, giocatore fantastico, che ha vinto in carriera “due cosette”:  Heineken Cup 2003 e 2005, Sei Nazioni nel 2004, 2007 e 2010, Campionato francese nel 2001, 2008, 2011, 2012 e Challenge Cup nel 2010. Eppure sarà ricordato per quell’errore che regalò la gioia e la Coppa a Rob Howley e ai Wasps nella finale del 2004.
In quella stessa edizione i Wasps diedero vita con Munster a Dublino in semifinale, ad uno dei più bei match della storia del torneo (per molti il più bello): per qualità di gioco e emozioni, sta nel gruppo ristretto delle più belle partite di sempre (o quanto meno dell’era professionale).

 

La Coppa è ovviamente torneo per grandi giocatori, non solo di quelli che abbiamo conosciuto grandissimi attraverso le partite delle nazionali. E’ il caso di Jacques Burger dei Saracens, mostruoso nella semifinale di quest’anno contro Clermont, capace di riassumere nella sua prestazione difensiva, tutto lo spirito della squadra che rappresenta. Sono quei giocatori che quando al club arriva uno nuovo, ti spiega con il suo comportamento le leggi interne.
Di quella stessa categoria ci sono due giocatori Wasps, un club che con McGeechan e Gatland era riuscito a costruirsi un senso di appartenenza vincente, superiore anche al proprio potenziale economico. Ricordate Joe Worsley, terza linea, man of the match proprio nel 2004, grazie ad una partita mostruosa in difesa, guarda caso come Jacques Burger. L’altro è Fraser Waters, centro e organizzatore della linea arretrata Wasps, che il man of the match l’ha vinto solo nella finale del 2007 (finale vinta su Leicester) perché nel 2004 era rimasto dietro a Worsley. Fraser Waters era uomo Wasps, uomo club, tanto che probabilmente quando ha vestito la maglia della Benetton non ha dato quanto sperato.

 

Nel versante opposto delle grandi gioie, ci sono le delusioni. Probabilmente Diego Dominguez non ci dorme ancora la notte, perché gli manca la vittoria in Heineken Cup. Lui ce l’ha messa tutta con il suo Stade Francais, ma nel 2001 non è bastato segnare da solo 30 punti, per battere Leicester al Parco dei Principi. E’ ancora un record, che forse rimarrà imbattuto per sempre. Poi Northampton che nel 2011 è arrivato a quaranta minuti dal successo, chiudendo in vantaggio il promo tempo sul 22 a 6, prima di lasciare la finale a Leinster per 33 a 22.
Sforzo di squadra e invenzione individuale. La Coppa spesso cambia proprietario per un singolo episodio, per un’invenzione preziosa. Come quella di Peter Stringer nella finale vinta da Munster nel 2006 su Biarritz, dopo, a proposito di delusione, che i rossi d’Irlanda avevano perso due volte in finale nel 2000 e nel 2002. E a proposito di Munster, il Thomond Park è stato luogo d’imprese, come nel 2003 quando nacque la leggenda del “miracle match”. Al Munster contro Gloucester serviva per accedere ai quarti di finale una vittoria con punto di bonus e con uno scarto di 27 punti. Finì 33 a 6, roba da scriverci un libro, come per la vittoria sugli All Blacks nel 1978.

 

Per noi italiani l’Heineken Cup ha sempre marcato il divario tra noi e il resto dell’Europa del Sei Nazioni. Spesso sono arrivate pesanti sconfitte, anche perché da ogni partita, le squadre devono produrre il massimo, per guadagnarsi la qualificazione, che a volte arriva per un singolo punto di bonus, per una singola meta o un solo punto in più segnato. Purtroppo la sospirata qualificazione ai quarti di finale non è mai arrivata, sono arrivate qua e la vittorie di prestigio.
Lasciando i ricordi, ne avrete tanti anche voi da condividere nei vostri commenti, magari andando a caccia degli episodi su youtube, possiamo aggiungere l’importanza che ha avuto la Heineken Cup, nello sviluppo del rugby moderno. Oggi li chiamano “case history” , modelli da studiare, che danno risultati vincenti. Ogni club di alto livello ha necessità di continuare ad evolversi, come una grande azienda, non può abdicare da inseguire innovazione e ricerca. Infatti l’alternarsi dei club all’alto livello è legato alle capacità di costruire e ricostruire. I club hanno sviluppato studio e ricerca, applicazione di nuove metodologie di allenamento, differente gestione dei giocatori, organizzazione di gioco. Contano i soldi, che comunque nessuno trova per terra e per caso, ma non solo. E’ una questione di idee e la Heineken Cup ci lascia un patrimonio importante di idee, oltre ai tanti ricordi vissuti, alle persone che abbiamo incontrato in questi anni. Dall’anno prossima inizia una nuova storia.

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