Centro Sportivo Iseo-Ripamonti, la ‘ndrangheta presa a calci dal minirugby

Alle porte di Milano c’era un centro sportivo che venne bruciato dalla criminalità organizzata. E che è rinato grazie alla palla ovale

ph. Sebastiano Pessina

C’era una volta un campo da calcio. Siamo a Milano, tra A come Affori e B come Bruzzano, sulla C come Comasina. E questo è l’ABC della città, dello sport, della vita. E’ l’ABC di una storia, che forse è anche una favola. C’era una volta, dunque, un campo da calcio, e adesso è diventato un campo da rugby. Ma la differenza non sta soltanto nella diversa forma del pallone. La differenza sta in tutto quello che c’è intorno, sopra e sotto, soprattutto dietro e dentro.
C’era una volta un campo da calcio. L’Iseo-Ripamonti, cioè il Ripamonti di via Iseo. Uscendo dalla città, sulla sinistra. Niente da dire, sul calcio. Quello che c’era da dire era sul bar, che era gestito dalla famiglia di Pepè Flachi, una famiglia che usava quel punto per riciclare soldi e spacciare droga. Scoperto il traffico, il centro, gestito dal Comune di Milano e da Milanosport, fu sottratto a quella famiglia. Ma la vendetta non tardò a violentare campo, palazzetto, spogliatoi, strutture. Incendiandoli. Soffocandoli. Uccidendoli.

 

C’era una volta un campo da calcio. Che poi è diventato un simbolo della lotta alle infiltrazioni mafiose. Bonificato, ristrutturato, resuscitato, riaperto. E affidato in gestione all’Amatori junior, squadre giovanili, dagli Under 6 in su. Rugby, appunto. Valori, regole, disciplina, codici. Volontariato, sostegno, solidarietà, integrazione.
Oltre all’Amatori, la regia del Comune di Milano, la collaborazione dell’associazione Libera, l’appoggio di don Gino Rigoldi. Una santa alleanza, una laica collaborazione. Un’isola felice, un porto franco. Adesso nel campo si gioca a rugby, dai bambini ai seniores, e nel palazzetto a tutti gli sport, dal basket alla ginnastica. Con annessi e connessi, dalle tribune agli spogliatoi. Il rugby come catechismo sportivo ed educativo, agonistico e comportamentale. Allenatori, genitori, ragazzi: ognuno fa il suo, e ognuno ci mette del suo. Per chi gioca, la tariffa è 280 euro l’anno. Un cifra abbordabile, un sacrificio ragionevole. Ma si può fare di più, si deve fare di meglio. Servono contributi, necessitano aiuti, urgono sponsorizzazioni. Per mantenere l’efficienza del campo, per accogliere bambini o ragazzi da famiglie a chilometro zero e purtroppo a reddito zero, per organizzare eventi, manifestazioni, tornei. Perché ogni campo deve respirare, essere abitato, continuare a vivere, e soprattutto un campo così ha bisogno di proporre e proporsi, radicarsi, distinguersi. Un campo come esempio, come simbolo, come bandiera.

 

I ragazzi lo sanno che il Ripamonti di via Iseo è un campo che ha una storia, sottratto alla mafia e consegnato alla cittadinanza. Glielo raccontano gli allenatori, glielo ricordano i genitori. Poi, se volete saperne di più, provate a dare un’occhiata a quelli che rincorrono gli imprevedibili rimbalzi del pallone ovale: ci sono anche arabi e sudamericani, sorridono e cadono, si mischiano. Qui, come in tutti i campi da rugby, la mischia è integrazione, ospitalità, resistenza.
C’era una volta un campo da calcio. Niente da dire, sul calcio. Ma adesso quel campo è diventato da rugby. E qui sul campo, e qui fuori dal campo, e qui davanti a un computer, e anche qui su onrugby.it, sul rugby ne abbiamo tanto da dire. Come sport, come gioco, come scuola, come gruppo, come squadra. Come soffio di vento, come raggio di sole. Come senso della vita.

 

di Marco Pastonesi

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