Quando il coccodrillo (ovale e non) arriva da Genova

Un libro molto particolare e un giornalista davvero unico – Giorgio Cimbrico – “raccontati” dal nostro Marco Pastonesi

E’ un giubbotto che ormai cammina caracollando da solo. E’ un maglione che conosce strade e piste, e che potrebbe entrare in stadi e tribune senza dover esibire il pass. E’ un paio di scarpe che hanno fatto il giro del mondo – a piedi – almeno una volta, se non di più. E’ una voce affumicata dal whisky e alcolizzata dalle sigarette. E’ un vecchio innamorato che prima batte gradinate e spogliatoi, poi batte la tastiera del computer, poi batte quasi tutti i colleghi. Perché i suoi pezzi te li divori rapito come se fossi al cinema, oppure accuratamente li eviti sapendo di perdere 6-2 6-1.
Giorgio Cimbrico – Secolo XIX, che si legge decimonono e non diciannovesimo – è giornalista a guardarlo, ascoltarlo, annusarlo. Ha una cultura sconfinata, e una memoria infinita, e una passione genuina. Cita, elenca, battezza. Recupera, ritrova, resuscita. Ride, tossisce, gracchia. Atletica, ciclismo, rugby, e ben altro, non obbligatoriamente in ordine alfabetico. Lui è nato per fare il giornalista. Se non avesse fatto il giornalista, avrebbe potuto fare l’attore, ma solo interpretando il ruolo di un giornalista. Di quelli con penna e taccuino in tasca o taschino, bretelle e cappello, piedi sulla scrivania, e una dose di cinismo in grado di proteggerli da assenze, rinunce, pigrizie.

 

Insomma, il tipo che: “Signor Johnson, se ha qualche consiglio da darmi…”, “Certo, ragazzo: non finire mai una frase con una preposizione e non la cominciare mai con i due punti” (il giovane Jon Korkes e il veterano Jack Lemmon in “Prima pagina”). Il tipo che: “Dove lavoro abbiamo una sola norma editoriale: non scrivere niente di più lungo che l’uomo medio non legga durante una cacata media” (Jeff Goldblum in “Il grande freddo”). Il tipo che: “Senti, senti chi parla: i giornalisti! Un branco di analfabeti con la forfora sul collo e le pezze sul sedere che spiano dai buchi delle serrature e svegliano la gente nel cuore della notte per domandargli se hanno visto passare un bruto in mutande”, sempre Jack Lemmon in “Prima pagina”).

 

Cimbrico è un buon compagno di viaggio, dai test-match al Sei Nazioni, dalle osterie ai marciapiedi, dai Mondiali alle Olimpiadi. Capace di saltare da Gavin Hastings a Federico Bahamontes, di collegare Carlo Senoner a Gigi Meroni, di risalire da Marco Bollesan a Walter Bonatti. Qualcosa del genere ha fatto in “Coccodrilli” (Absolutely Free, 256 pagine, 15 euro), l’arte di commemorare i campioni dello sport, quei pezzi che si scrivono in morte di, concentrando e concertando, ma anche prima della morte di, custodendo l’elogio in ghiacciaia, che è un archivio immune dagli automatici e nefasti repulisti tipografici.
Qui, di orazioni funerarie se ne contano 72, comprese alcune ricorrenze, come per Fausto Coppi e per Superga. Di coccodrilli di rugbisti, ci sono quelli per Merwyn Davies (“Il professore della touche”), Agostino Puppo (“Le avventure di Ciucca il bandito”), Lorenzo Sebastiani (“Il pilone sparito”) e anche quello per il telecronista Bill McLaren (“L’emozione di una voce”). Cimbrico ci mette anima e mestiere, regala schizzi per ricavarne affreschi, prende figurine e le ingigantisce a ritratti, e non indulge mai in predica e retorica.
Non è bello dirlo e neanche scriverlo. Ma il giorno in cui dovessi tornare negli spogliatoi, mi piacerebbe che fosse proprio Cimbrico, fumando, bevendo, tossendo, gracchiando, a dedicarmi una mezza cartella.

 

Per chi fosse interessato, il libro è disponibile e trovate la scheda a questo link.

 

di Marco Pastonesi

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