Il romanzo di formazione di Nick Farr-Jones, dal pub al tetto del mondo

Torna la rubrica di Marco Pastonesi, che ci porta nel cuore degli anni ’80. Quando un giovane decise di diventare un campione

ph. Nick Kidd/Action Images

Alan Jones aveva i suoi metodi. Duri e semplici. Per dirne uno, di metodo, questo più semplice che duro: prima di partire per un tour in Gran Bretagna e Irlanda, stabilì che i suoi Wallabies, per migliorare non solo in touche e maul, ma anche in inno e canti, si sottoponessero a un breve corso musicale. Come sede fu scelta la cappella di St Andrew’s, vicina al St Andrew’s College, a Sydney, dove si tenevano gli allenamenti mattina e pomeriggio, e dove c’era anche un pianoforte. Il giorno dell’audizione, una piccola folla si raccolse fuori dalla porta della cappella per ascoltare l’eco dei cori dei giocatori australiani che provavano “I Still Call Australia Home” e “Waltzing Matilda”.
Alan Jones variava i suoi metodi duri e semplici anche pensando a chi – giocatori e uomini – si trovava davanti, e magari contro. In quel tour debuttavano tre ragazzi: Matt Burke, diciannove anni, centro e ala; Stephen Tuynman, ventuno, seconda linea; e Nick Farr-Jones, ventidue, mediano di mischia. Dei tre, Farr-Jones era il più conosciuto per quello che aveva già potuto dimostrare in campo. Quando furono diramate le convocazioni, la stampa convenne che fosse finalmente giunto il momento di vedere in azione, ad alto livello, il nuovo regista. Intelligente, sveglio, dotato di un passaggio meraviglioso. Uno su cui costruire l’Australia del futuro.

 

Ma Farr-Jones era poco più che un ragazzo, e certe responsabilità non se le sentiva ancora addosso. Anzi, per guadagnarsi, se non la stima, almeno la simpatia, o forse la complicità degli altri Wallabies, soprattutto di quelli più esperti e trascinatori – da Tom Lawton a Andy McIntyre fino al leggendario Roger Gould -, Nick cercò di dimostrarsi subito alla loro altezza non tanto sul campo, quanto al pub. Al White Horse pub. La sera, dopo la cena. E nei pub inglesi, gallesi, scozzesi, irlandesi. La sera, dopo le partite.
Le prime partite contro squadre di club, in attesa di debuttare nei test-match. Buona la partita contro London Division: vittoria per 22-3, e per Nick grandi placcaggi, buoni contrattacchi e una meta. E buona, nonostante il pareggio (12-12), anche la partita contro Exeter. O almeno così la giudicava lo stesso Nick. Che stavolta, nel pub, fece le ore piccole, pensando che dividere, moltiplicando, le birre con Gould, Andrew Slacks e Stephen Williams fosse un privilegio raro.

 

Ma Alan Jones non la pensava così. La sera successiva, Nick ricevette una telefonata dal capo-allenatore. Passa dalla mia camera, appena puoi. La camera di Alan Jones era esattamente come Nick se l’aspettava: ogni cosa nel suo posto, e un posto per ogni cosa. Una sala operatoria non avrebbe potuto essere più ordinata e pulita. La divisa da allenamento, pulita, perfino profumata, piegata sulla sedia. Riviste inglesi di rugby, perfettamente impilate, sul tavolo. Anche le tende sembravano appena stirate. Nick fu investito come da una valanga, rovesciato come da un ciclone, travolto come da uno tsunami. Chi diavolo pensava di essere, tutte le notti fuori a bere? Dove diavolo pensava di essere, forse a una scampagnata con i compagni dell’università? Cosa diavolo pensava che fosse, il tour con i Wallabies, forse una grande festa con gli amici del club? Che diavolo pensava di fare della sua vita di rugbista, solo partite di preparazione o magari anche un test-match? E quanto diavolo pensava di andare avanti, con quel comportamento lì?

 

Venti minuti d’orologio. Nick fu sfiorato, per un solo attimo, dall’istinto di avanzare una scusa, poi pensò che non fosse il caso. E pensò bene. Dalla camera di Alan Jones uscì muto e appiattito. La sfuriata su Nick Farr-Jones ebbe l’effetto sperato da Alan Jones. Concentrazione in allenamento, leadership in partita. E quanto ai terzi tempi, solo quelli ufficiali, con la dovuta moderazione.
E quando il 2 novembre 1991 i Wallabies salirono sul trono planetario del rugby, era Nick Farr-Jones, mediano di mischia e capitano dell’Australia, a sollevare la Coppa del mondo.
Ma c’è anche un segreto. Mezzo italiano. Magari la prossima volta.

 

di Marco Pastonesi

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