La palla ovale ovvero la forma più completa della perfezione. Già, ma perché?

Un bambino ha chiesto come mai il pallone da rugby fosse ovale. E Marco Pastonesi ha dato queste risposte, sperando che almeno una fosse quella esatta

ph. Sebastiano Pessina

Perché il pallone ovale era rotondo, ma un giorno un pilone si è seduto sopra, e il pallone rotondo è diventato così.
Perché era rotondo, ma un giorno è finito in una pozzanghera, e quando l’hanno tirato fuori, il pallone rotondo era diventato così.
Perché il rugby non è il calcio.
Perché il rugby non è neanche il ciclismo, ma se fosse il ciclismo sarebbe il ciclocross, anche se le ruote sono sempre rotonde, almeno quando le gare di ciclocross cominciano, non sempre quando finiscono.
Perché se il pallone ovale fosse rotondo, allora anche i pali dovrebbero abbassarsi all’altezza della traversa.
Perché il pallone ovale era quadrato, ma un giorno il giocatore di una squadra lo tirava da una parte, e il giocatore dell’altra squadra lo tirava dall’altra parte, e a forza di tirare e non mollare, il pallone quadrato si è allungato così.
Perché il pallone ovale era quadrato, ma poi si confondeva con la testa di chi gioca in prima linea.
Perché il pallone ovale era quadrato, l’unico quadrato di cui fosse impossibile trovare la radice quadrata, se non scavando.
Perché il pallone ovale è pieno di valori che in altri palloni non ci stanno.
Perché il pallone ovale era un aquilone, ma un giorno l’aquilone si è stancato di volare, ha voluto esplorare e toccare quello che vedeva dall’alto, ma quando è finalmente atterrato, si è chiuso in se stesso.
Perché il pallone ovale era un aquilone, ma un giorno l’aquilone si è stancato di volare, ha voluto esplorare e toccare quello che vedeva dall’alto, ma aveva paura di atterrare, allora ha preteso un paracadute, e si è trasformato in un volano, una pallina da badminton.
Perché il pallone ovale è ancora un po’ pieno di vento.
Perché prova a correre con un pallone rotondo sotto il braccio.
Perché prova a fare un passaggio, di quelli lunghi da mediano di mischia, con un pallone quadrato.
Perché un pallone rotondo rimbalzerebbe contro certe pance rotonde di certi giocatori rotondi.
Perché il pallone ovale – dicono – è ubriaco, anche se di questo non c’è prova, infatti come si fa a fare la prova del palloncino a un qualsiasi pallone?
Perché il pallone rotondo ha rimbalzi troppo facilmente prevedibili.
Perché un pallone ovale è anarchico, infatti rimbalza dove gli pare.
Perché non è vero che un pallone ovale è anarchico, infatti rimbalza sempre nelle mani dei giocatori più bravi, e invece dribbla e sfugge ai giocatori più scarsi.
Perché è vero che un pallone ovale è comunque un pallone gonfiato, ma un po’ meno di quelli rotondi.
Perché non voleva finire in una buca, tantomeno in una buca piccola come quella di un campo da golf.
Perché non voleva finire in una rete, neanche fosse un’orata o una sardina.
Perché non voleva essere preso a bastonate o a mazzate, come se avesse fatto qualcosa di male.
Perché non voleva essere preso neanche a racchettate, come se dovesse meritare chissà quale punizione.
Perché non voleva finire in un cesto o in un canestro, e sentirsi rifiutato.
Perché era stufo di sentirsi di plastica cinese, ping pong ping pong ping pong.
Perché aveva voglia, quando veniva calciato, di sentirsi come un giavellotto, che si libra nell’aria, e vola.
Perché non aveva voglia di essere preso a calci (infatti – diciamocelo fra di noi – il pallone ovale è molto più contento di giocare nelle partite di rugby a 7 piuttosto che in quelle a XV), ma non si può avere tutto dalla vita, e neanche dallo sport.
Perché – come ripete da anni il mio amico Chicco Pessina – a Carnevale ogni scherzo ovale.
Perché a Pasqua si gioca, a Natale no.
Perché a Natale con i tuoi, a Pasqua con chi vuoi, infatti a Pasqua e a rugby ci si diverte di più, anche senza giocare.
Perché – come sosteneva Bruno Munari (non Vittorio: Bruno è stato artista e designer) – non esiste nulla di più perfetto di un uovo, anche se è stato fatto con il culo.
Perché era una bambola gonfiabile, ma dai e dai e dai, alla fine è diventato così.

 

di Marco Pastonesi

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