Will Carling, il suddito discolo di Sua Maestà

Domenica a Twickenham ci aspetta l’Inghilterra, Marco Pastonesi ci presenta uno dei suoi “re”

ph. Darren Walsh/Action Images

Non sarebbe la Casa Madre se non avesse avuto sudditi modesti come Will Carling. Che un giorno si trovò, con i due mediani gallesi Phil Bennett e Gareth Edwards, al cospetto di Dio, seduto sul trono, in paradiso. Dio disse loro: “Prima di concedervi un posto accanto a me, devo chiedervi qual è il vostro credo”. Bennett guardò Dio negli occhi: “Credo che il rugby sia il senso della vita. Nient’altro ci ha mai regalato tanta gioia. E io ho dedicato la mia intera vita a diffondere lo spirito del rugby”. Dio fu commosso dalla passione e dall’eloquenza, e disse: “Phil, tu sei un uomo di autentica fede. Siedi alla mia destra”. Poi Dio si rivolse a Edwards: “Ora, figlio mio, dimmi in che cosa credi”. E Gareth: “Credo che coraggio, valore, lealtà, lavoro di squadra, devozione e impegno siano l’anima della vita e io ho dedicato la mia carriera a vivere questi ideali”. Dio rispose: “Hai detto bene, Gareth. Siedi alla mia sinistra”. Infine Dio interrogò Carling: “E tu, signor Carling, che cosa credi?”. Carling lo fulminò con uno sguardo : “Credo che tu ti sia seduto al mio posto”.

 

Non sarebbe la Casa Madre se non avesse avuto sudditi spiritosi come Will Carling. A metà degli anni Novanta, i giornali specializzati in pettegolezzi reali strombazzavano la mica tanto segreta tresca fra la principessa Diana e il capitano dell’Inghilterra Carling, anche se lui negava. Finché un giorno, alla cerimonia di consegna del trofeo del Cinque Nazioni a Carling, al termine di una partita in cui il capitano inglese non era riuscito a segnare una meta, il principe Carlo gli disse: “Mi dispiace che tu non sia andato a segno”. E Carling, come liberandosi da un peso: “Finalmente qualcuno che mi crede”.

 

Non sarebbe la Casa Madre se non avesse avuto sudditi generosi come Will Carling. Nel 1993, dopo aver guidato l’Irlanda in una sconfitta contro l’Inghilterra, Willie Andreson invitò Carling a bere qualcosa insieme, gli chiese che cosa volesse, e quando Carling optò per un gin and tonic, ne ordinò due. Il conto lo fece sobbalzare: dieci sterline. Willie tirò fuori due banconote da cinque sterline della Bank of Northern Ireland, ma il barista disse che non poteva prenderle. Allora Anderson chiese a Carling se potesse pagare lui. Carling passava per un taccagno, tant’è vero che Anderson sosteneva che il suo portafoglio avesse una speciale combinazione per potersi aprire. Fu così che Anderson riuscì nell’impresa di farsi pagare da bere a Carling: un’impresa, si dice, più dura che battere l’Inghilterra sul campo.

 

Non sarebbe la Casa Madre se non avesse avuto sudditi autorevoli come Will Carling. Era stato lui a sostenere come il consiglio della Rfu, la Federazione inglese rugby, fosse composto da “cinquantasette vecchi scorreggioni”, affermazione che lo fece destituire dal ruolo di capitano. In quel periodo l’esclusivissimo Marylebone Cricket Club di Londra si domandava se dopo duecento anni di storia soltanto maschile, potesse autorizzare l’ingresso anche alle donne. Si tenne una votazione, e la proposta venne bocciata. Tre anni dopo, il MCC propose un altro referendum sulla possibilità di aprire anche alle donne la lista di attesa ventennale alle iscrizioni. Ma pure questa proposta venne bocciata. E a chi si chiedeva se per caso il Marylebone Cricket Club fosse un po’ come la Federazione inglese rugby, il presidente dell’MCC Oliver Popplewell si ricordò di Carling e confessò: “Qui non troverete cinquantasette vecchi scorreggioni. Ma diciottomila”.

 

di Marco Pastonesi

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