Comunicazione, trasparenza: parole magiche anche per gli arbitri

Una “glasnost” per i fischietti? Secondo Antonio Raimondi è questa la chiave di volta. E il dibattito è aperto

ph. David Gray/Action Images

Come promesso l’appuntamento di questa settimana con “Giù il gettone” è dedicato alla questione arbitrale. Per chi fosse interessato qui potete trovare la nostra intervista al Presidente Commissione Nazionale Arbitri della FIR, Giampaolo Celon, che abbiamo publicato ieri.

 

Il problema degli arbitri, non possiamo nascondercelo, è diventato centrale, perché ormai, a qualsiasi livello, influenza il modo di giocare una partita. La mancanza di uniformità di giudizio porta pure a un problema di credibilità, aumentata dall’ambiente professionale, dove allenatori e giocatori professionisti, ma anche manager, devono giustificare risultati negativi e gli arbitri rappresentano la scusa più a portata di mano.
La situazione negativa, non deve però far salire sulla barricata opposta gli arbitri, perché è inutile negare che esista un problema, ed è pure grosso, nell’area arbitrale. Intervenire, con serenità e decisione, è diventata una necessità per evitare che si possa contaminare il processo di crescita del nostro sport. Sarebbe auspicabile affrontare il problema globalmente, riunendo attorno al tavolo per l’analisi della situazione i rappresentanti di tutte le categorie, perché il rugby non è più solo il gioco, solo la partita, ma è anche spettacolo e business. Concetto che può far storcere il naso ai cosiddetti puristi, ma che ormai è assodato, dobbiamo avere la forza di affrontare questo nuovo scenario, mantenendo in rilievo i nostri principi.

 

L’arbitro di rugby ha probabilmente il compito più difficile, se proviamo ad analizzarlo in modo scientifico, se paragonato ad altri sport. Limitando il campo d’osservazione all’area di breakdown (abbiamo dedicato già ad esempio alla mischia ordinata diverso spazio), alla cruciale situazione di placcato-placcatore, un arbitro di rugby di alto livello si trova a dover prendere una decisione che influenzerà il proseguimento della partita, in media per duecento volte (si può tradurre mediamente una decisione ogni trenta secondi, frequenza che sale ancora se considerassimo il tempo effettivo). All’alto numero di situazioni da giudicare, sempre in una frazione di secondo, si aggiunge che le infrazioni sono multiple e c’è un ampio spazio lasciato all’interpretazione, così come lunga è la lista delle priorità da osservare.
Nessun altro sport richiede così tanto all’arbitro. Il calcio vive forse con pressioni più forti, ma l’ambito decisionale è notevolmente più semplice e le situazioni da giudicare accadono con meno frequenza. Allo stesso modo più semplice è il compito di arbitri di basket e pallavolo, se vogliamo restare tra gli sport di squadra che ci sono più vicini.
Per comprendere le difficoltà che deve affrontare un arbitro di rugby, provate a mettervi nei suoi panni e seguire il processo mentale che deve fare in una frazione di secondo:

a) come il placcatore interagisce con il placcato
B) quando il placcaggio realmente è effettuato
c) il placcatore deve rilasciare il placcato
d) il placcato deve liberare il pallone. Valutare quanto tempo lasciare per posizionare l’ovale
e) se e quando la ruck è formata. Ovvero via le mani
f) i giocatori che si aggiungono alla ruck devono rimanere in piedi
g) i giocatori che arrivano nella ruck devono entrare dal “gate” che non è sempre uguale
h) i giocatori non devono sigillare il pallone

 

Aggiungete che molto spesso il placcatore non è uno solo (chi è il primo e chi assistente al placcaggio?) e buona parte delle situazioni accadono quasi simultaneamente.
Le interpretazioni dell’arbitro influenzano il modo di giocare e lo sviluppo della partita e diventa naturale per giocatori e allenatori lamentarsi, ma il pericolo è di finire rapidamente nella zona dei sospetti, dove dietro un errore c’è un disegno più ampio, dove ci sono corrotti e corruttori e allora si butterebbe in vacca, anche uno sport che agli occhi di tutti, rappresenta il massimo dei valori sportivi.
Una parte della soluzione, passa attraverso un processo di trasparenza. Nel rapporto tra arbitri, giocatori, allenatori e amministratori, un ruolo importante l’hanno i media, perché, di fatto, amplificano sia le cose positive sia le negative. Giornali, televisioni e il mare d’internet, se usati male, possono fare danni enormi. La bufala, come il giudizio disinformato, quando non in cattiva fede, è davvero dietro l’angolo, come le gravi conseguenze.

 

Prima della Coppa del Mondo del 2011, l’allora responsabile degli arbitri Paddy O’Brien, ha promosso un incontro con telecronisti e commentatori tecnici dei vari broadcaster, per illustrare le linee guida per il torneo. E’ stato un incontro davvero interessante, di confronto e spiegazione, fatto attraverso casi specifici molto didattici. Poi l’applicazione in campo non è stata altrettanto chiara, con i casi di Bryce Lawrence in Sudafrica – Australia e il rosso di Sam Warburton comminato da Alain Rolland in Francia Galles in grande evidenza.
Due casi interessanti per motivi differenti e che vale la pena raccontare a titolo di esempio. La storia di Bryce Lawrence è emblematica. La sua prestazione nel quarto di finale tra Australia e Sudafrica è stata pessima, giusto per togliere qualsiasi dubbio. Possiamo analizzare meglio la situazione.
L’arbitro neozelandese, inadeguato perché incapace di reggere la pressione, è arrivato al quarto di finale, dopo essere stato pesantemente criticato, per come aveva diretto Australia – Irlanda nella prima fase, in particolare per come aveva rigidamente diretto la situazione di breakdown. Dopo quelle critiche, per il quarto di finale ha cambiato completamente il suo atteggiamento, diventando improvvisamente più tollerante, lasciando a fare ai giocatori tutto quello che volevano. Vittorio Munari durante la partita, commentò: “Sta applicando la legge del Far West”.

 

A un’analisi emotiva (o tifosa) si potrebbe anche dire che ha arbitrato contro il Sudafrica, tanto che nel paese arcobaleno non lo volevano più vedere e lui ha pensato di ritirarsi. Togliendoci dal coinvolgimento emotivo, possiamo comprendere meglio la situazione. Un arbitro permissivo nel breakdown, concede qualche vantaggio in più alla squadra in difesa, che cerca in tutti modi di rallentare il pallone . Le statistiche del match ci raccontano che il Sudafrica ha portato il pallone in ruck 131 volte, mentre l’Australia quarantaquattro. In pratica, l’Australia, visto l’atteggiamento permissivo di Lawrence, ha avuto il triplo di occasioni per andare oltre il regolamento. Se il possesso e il numero di ruck fossero stati più equilibrati tra le due squadre, il modo di arbitrare sarebbe stato più equilibrato e magari i tifosi sudafricani se la sarebbero presa con il francese Poite, il giudice di linea che ha segnalato il fallo in touche, che ha portato ai tre punti decisivi per la vittoria all’Australia.

 

Il caso dell’espulsione di Sam Warburton è invece più indicativo dell’importanza della comunicazione.
Chi aveva assistito alla presentazione di Paddy O’Brien, non poteva avere dubbi: Rolland ha applicato il regolamento in modo corretto, secondo le indicazioni date prima dell’inizio del torneo. Per gli altri commentatori invece il dibattito si è aperto sulle varie gradazioni che vanno dal bianco fino al rosso.
Conoscere il metro di giudizio dato agli arbitri, avrebbe ridotto l’esposizione alle critiche di Rolland, contribuendo a migliorare la formazione di conoscenza collettiva. Così come l’applicazione corretta dei principi, nelle partite precedenti, avrebbe fatto comprendere anche la decisione dell’arbitro irlandese.
Oggi sulla situazione di spear-tackle siamo arrivati a indicazioni ancora più precise, dove il giallo scatta quando le gambe del placcato sono portate oltre la linea orizzontale e il rosso arriva quando c’è l’aggravante di un atterraggio su testa, collo e spalle. Indicazioni importanti, che sono però rimaste nell’ambito di arbitri, allenatori e giocatori. Renderle pubbliche, offrirebbe a tutti un metro di giudizio e toglierebbe alibi e possibilità di dare giudizi fuori luogo.
Un esempio sull’importanza della comunicazione è il nostro Giulio De Santis che con l’incarico di RDO della FIR ci informa costantemente sul canale Youtube della federazione, sulle raccomandazioni e le indicazioni che arrivano dall’International Board. Farci un giro ogni tanto, ci permette di capire meglio ciò che succede in campo.

 

Il processo di chiarezza e trasparenza non può però essere confinato alla comunicazione e agli operatori dell’informazione. Deve comprendere anche l’intero processo di valutazione. Nell’emisfero sud, ad esempio, hanno adottato un sistema di valutazione delle performance degli arbitri, che poi porta a designazioni sulla base del valore (quindi dei meriti) trascurando ad esempio l’aspetto della nazionalità. E’ prima di tutto un fatto culturale molto importante, perché alla base c’è l’accettazione dell’imparzialità dell’arbitro, in quanto giudice. Se pensiamo alle polemiche calcistiche di qualche settimana fa, sull’origine di un arbitro, viene addirittura da ridere.
Tuttavia, pur considerando in modo positivo la valutazione delle prestazioni degli arbitri, lasciarne
il processo e il modello nelle “segrete” del comitato arbitri non contribuisce alla trasparenza e alla
comprensione di chi vede soltanto il risultato nelle designazioni. Sarebbe interessante poter comprendere quali sono i parametri presi in considerazione.

 

Allo stesso modo, occorrerebbe maggior chiarezza nella scelta di chi deve giudicare la prestazione degli arbitri. Il problema è l’autoreferenzialità della classe arbitrale. Un circolo chiuso, per tanto poco virtuoso, che si espone a sospetti di scelte politiche o comunque poco trasparenti. La creazione di un pannello indipendente, composto non solo da arbitri, ma da addetti ai lavori di provata competenza, che abbia il compito di pesare le prestazioni degli arbitri è una necessità sulla via della trasparenza.
Gli arbitri, dopo l’introduzione del professionismo, sono stati messi sotto enorme pressione, lo stesso processo di valutazione getta ulteriore peso sulle loro spalle. L’aspetto deteriore, per l’arbitro, è perdere di vista l’obiettivo finale per concentrarsi sul processo decisionale, che deve essere in linea con le indicazioni di chi poi li giudicherà, pena la fine o il ridimensionamento della carriera. Va ricordato che l’obiettivo finale dovrebbe essere garantire (sarebbe ancora meglio utilizzare il verbo favorire) una partita in cui ci sia una contesa leale, come nello spirito del gioco. Il modello da inseguire è quello di un arbitro-facilitatore del gioco, piuttosto che controllore con il “manganello” in mano. Non a caso poi, gli arbitri che riescono a mantenere il match nei binari della leale contesa sono poi quelli di maggior personalità, che sanno gestire le situazioni, come il sudafricano Craig Joubert e il neozelandese, ora di federazione australiana, Steve Walsh.

 

La trasparenza nelle cose degli arbitri avrebbe il valore di una vera rivoluzione, perché forzerebbe anche altri fondamentali cambiamenti culturali. Idealmente il concetto che dovrebbe passare è quello del trentunesimo giocatore in campo, l’unico che ha l’autorità per dire se si sta giocando all’interno del recinto delle regole. Va anche sottolineato che se allenatori e giocatori non sono proattivi, è quasi impossibile mantenere una partita nei binari della leale contesa.
Due occhi (ammettiamo anche sei comprendendo gli assistenti) sono troppo pochi perché controllino trenta uomini, in un’area di cento metri per settanta, che a ogni minuto provano a testare fino a che punto, possono infrangere il libro delle regole per prendersi un vantaggio. Da quando il rugby è professionistico, i giocatori sono diventati più forti, più rapidi e il gioco è diventato più veloce. Alcuni stimano che la velocità sia incrementata del 30%. Gli arbitri sono senz’altro migliorati sotto l’aspetto della forma fisica, ma probabilmente non quanto i giocatori.
Anche lo sviluppo tecnologico ha messo in posizione di svantaggio l’arbitro, che si ritrova solo contro tutti, (messo a nudo dalle analisi video) e se ripensiamo alle due decisioni il minuto che deve prendere, inseguendo giocatori più allenati di lui, qualche soluzione andrebbe trovata, per rimettere in equilibrio la situazione.
In altri sport hanno aumentato gli occhi che osservano. La soluzione del doppio arbitro potrebbe risolvere una parte del problema. All’interno della classe arbitrale ci sono posizioni diverse, ma non se ne dovrebbe fare una questione di principio. Piuttosto si dovrebbe studiare e quindi valutare un protocollo che definisca il modo di interagire dei due arbitri. Ad esempio nella pallacanestro arbitrano a “zona” con ogni arbitro che ha un settore di campo di competenza. La possibilità che funzioni c’è, tenendo presente che un maggior controllo, dovrebbe anche favorire un comportamento positivo da parte dei giocatori . Uno dei primi appunti al doppio arbitro è la presenza dell’assistente e dei giudici di linea. E’ una verità molto parziale, perché la collaborazione è affidata all’intesa tra persone che spesso hanno la stessa ambizione di carriera.
Tornando al principio di trasparenza, siamo sicuri che l’interesse dell’arbitro e dei suoi due collaboratori di giornata (a loro volta arbitri internazionali) sia lo stesso? Potrebbe avere senso una terna che lavora sempre insieme e che, come una squadra unita insegua il successo, piuttosto che tre arbitri che, per comprensibile umana ambizione, sognano di raggiungere la finale della Coppa del Mondo?
Per concludere, i cambiamenti sono necessari, per riuscire a governare uno sport che muta e si evolve rapidamente, trovando gli strumenti che devono far avvicinare il più possibile il margine d’errore allo zero. Ma la chiave di volta sta nella trasparenza e nella comunicazione, che possono innescare comportamenti positivi da parte di tutte le componenti del nostro sport.

 

di Antonio Raimondi

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