Il grillotalpa! Chi era costui? Nel mondo dei numeri 7 (ma non solo)

Le nuove regole dovevano segnarne la quasi estinzione, Antonio Raimondi ci dice perché non è successo

ph. Sebastiano Pessina

C’era una volta il rugby dei grandi numeri dieci. Mediani d’apertura che decidevano tutto o quasi, ogni pallone passava dalle loro mani e a loro era demandata la responsabilità dell’esecuzione del piano di gioco. Le squadre, spesso, erano costruite attorno ad un grande numero dieci, una per tutte, l’Inghilterra di Jonny Wilkinson. Oggi il ruolo di apertura è in trasformazione, molto spesso con enormi difficoltà di adattamento da parte dei giocatori, che si trovano a operare in un contesto sempre più complicato, dove i tempi di esecuzione si sono ridotti notevolmente.
Nel nostro “c’era una volta” possiamo mettere anche ali, alla Jonah Lomu, per dire uno che ha segnato un’epoca, piuttosto che centri dalle abilità fuori dal comune, come Jeremy Guscott, per stare ancora in un’epoca televisiva, piuttosto che ricordare un estremo alla JPR Williams. I nomi che si potrebberofare, come stelle del rugby internazionale, sono tanti, tutti segni di un’epoca.

 

C’era una volta, appunto, e oggi il simbolo del rugby moderno, come segno di un’epoca, è il numero sette, l’open flanker. Non che non ci fosse prima, anche con sublimi interpreti da Graham Mourie a Michael Jones, ma la figura che domina la scena del rugby moderno è quella del numero sette “fetcher”, per dirla come gli anglosassoni, o grillotalpa con una definizione, per quanto strampalata, che ci sta particolarmente a cuore e popolare tra gli appassionati italiani. La nostra definizione grillotalpa compie dieci anni, ma l’origine del nome non è il tema che stiamo
affrontando e magari potrà parlarne in un prossimo “Tinello” Vittorio Munari.
Alcuni osservatori avevano predetto la sua rapida estinzione, dopo gli adattamenti internazionali, nell’interpretazione delle regole nell’area del breakdown. Tuttavia l’ultimo week end, ma più in generale il trend stagionale, ha dimostrato proprio il contrario e la figura dello “scavenger” continua a essere dominante e decisiva: Francois Louw e Michael Hooper hanno vinto il man of the match in Scozia-Sudafrica e Inghilterra-Australia, il nostro Simone Favaro è stato tra i migliori in Italia-Nuova Zelanda, mentre Richie “hand off seven” McCaw è il migliore, anche quando non scende in campo e il suo rendimento è il punto di riferimento per chi gioca con la maglia numero sette.

 

Il fetcher è una figura che nasce nell’era professionale del rugby. Al numero sette era richiesto (senza entrare troppo nei dettagli) di essere il primo giocatore per pulire il pallone in attacco e il primo placcatore in difesa. Forse il primo fetcher, ancora non codificato nei comportamenti, è stato Josh Kronfeld, un dinamico e compresso numero sette All Blacks (a proposito dell’innovazione alla base del rugby neozelandese che abbiamo sottolineato in un precedente “Giù il Gettone”). Kronfeld nel suo metro e ottantacinque per novantacinque chili, trovava l’equilibrio per cacciare i palloni dopo il placcaggio. Eravamo nella seconda metà degli anni novanta, e all’inizio del professionismo nel rugby, che ha portato ad analisi e studi del gioco sempre più approfondite. Quell’elemento d’innovazione ha trovato poi uno sviluppo, entrando nel terzo millennio.
Una delle figure chiave è George Smith, anche lui un compatto, centottanta centimetri per cento chilogrammi, al servizio di un sistema difensivo elaborato da Eddie Jones per i Brumbies, finalisti nel Super Rugby del 2000 e vincitori, non a caso, nel 2001. E’ l’inizio del successo di favolosi interpreti: Phil Waugh, Marty Holah, Thierry Dusatoir, Heinrich Brussow, i più recenti Sam Warburton, David Pocock, e il più grande di tutti: Richie McCaw. Oggi il fetcher è il giocatore più in vista, spesso il capitano, perché meglio di chiunque altro rappresenta il giocatore che dà l’esempio, più di ogni altro ruolo, rappresenta l’essenza del rugby di questi ultimi anni. Ruolo per coraggiosi, nel quale occorre un pizzico d’incoscienza, perché opera in una zona di guerriglia pura. Si potrebbe aggiornare quanto si diceva di Jean Pierre Rives, che metteva la testa, dove gli altri non osavano mettere il piede. Per i vari McCaw, metterci la faccia è solo l’inizio dell’avventura, per affrontare ciò che arriva dopo, occorre saper andare oltre la barriera del dolore.

 

Guardando un’ipotetica lista delle priorità del grillotalpa nel break down, sembra addirittura un
lavoro facile:
a) rilasciare l’avversario dopo il placcaggio
b) rimettersi in piedi, in una posizione efficace per contendere il pallone
c) mettere le mani sul pallone, prima di ogni altro giocatore
d) ascoltare i comandi dell’arbitro, lasciare il pallone se chiama ruck o via le mani, in caso contrario continuar a rubare.
Semplice, no? Tutto questo in velocità, nello spazio di due o tre secondi, sotto la pressione di avversari pronti a punirti fisicamente, stando sul filo delle regole.
Il fetcher è un’esigenza primaria nel rugby moderno e continua a esserlo, perché è l’uomo che può trasformare la partita. L’obiettivo minimo per il grillotalpa è rallentare i palloni degli avversari, ma da prima arma difensiva, diventa fondamentale per l’attacco, perché in un gioco nel quale le difese sono super organizzate ed è quasi impossibile segnare in prima fase, non ci sono molte vie per raggiungere la marcatura di una meta.
Provando a semplificare, classificando, possiamo ridurre a tre le opportunità che portano alla marcatura: l’invenzione individuale capace di battere l’avversario, il pallone veloce e il turn over. L’invenzione non è pianificabile, quindi ci si deve concentrare su palloni veloci e turno over, in altre parole pane per il grillotalpa.
Se vuoi avere palloni veloci in attacco, devi operare per tagliare fuori i grillitalpa, al plurale, perché nel corso del decennio, si sono moltiplicati e replicati anche in altri ruoli, esempio il centro irlandese O’Driscoll, il tallonatore sudafricano Bismark du Plessis e il pilone inglese Dan Cole. Alla check list del fetcher, non abbiamo messo la necessità di interpretare il gioco: linee di sostegno, valutazione della situazione, per individuare il momento di vulnerabilità dell’avversario, in modo di colpire al momento giusto, coscienza di essere nella condizione regolamentare per agire e sensibilità nel rapporto con l’arbitro per avere un’area operativa più ampia possibile, tanto che il riconoscimento maggiore per un grillotalpa è essere accusato dagli avversari di andare, impunito, oltre il regolamento. Anche in questo l’esempio è Richie McCaw.

 

Per continuare a essere determinante, anche il grillotalpa ha dovuto evolversi nelle mutazioni che il gioco ha avuto in questi anni. Nel 2009 Heinrich Brussow fu elemento decisivo nella vittoria del Sudafrica sui British Lions, perché era il giocatore a livello mondiale che traeva maggior vantaggio dall’interpretazione che permetteva al placcatore di non dover entrare dal “gate” dopo il placcaggio. La sua capacità unita a quella di altri, aveva portato le squadre a giudicare troppo alto il rischio di turn over, per portare il pallone a contatto.
Ricorderete un gioco vincente di calci e pressione. Ad esempio l’Irlanda che conquistò il Grande Slam nel Sei Nazioni, fu la squadra che eseguì il minor numero di passaggi. Cercando un rugby maggiormente spettacolare, per favorire il gioco positivo e d’attacco, si è complicata la vita dei grillitalpa con delle nuove interpretazioni che obbligano il placcatore a giocare la palla solo dopo essersi rimesso in piedi e aver liberato il giocatore placcato.
Questa nuova interpretazione ha portato molti all’errata convinzione che il fetcher non sarebbe più stato determinante e necessario. Si sono elaborati sistemi differenti per forzare il turn over, come il choke tackle irlandese, che punta a forzare il cambio di possesso, attraverso una maul che rende “ingiocabile” il pallone. Ne sappiamo qualcosa, visto che abbiamo perso quattro possessi in questo modo contro la Nuova Zelanda.
Pur essendo un’efficace arma per riguadagnare possesso, non ha il valore per l’attacco di un pallone rubato. Offre altre garanzie, nell’ottica difensiva è meno rischioso, perché più facile da interpretare per l’arbitro, rispetto alla situazione di palla a terra.

 

Nel 2012, nonostante tutti i cambiamenti, Richie McCaw e i suoi “fratelli” sono ancora lì a dimostrare che per essere vincenti nel rugby moderno, servono ancora loro, i fetcher. Il coach sudafricano Heineke Meyer ha provato a rinunciarci, ma durante il Rugby Championship e poi per i test di novembre ha dovuto chiamare Francois Louw, che si era trasferito nel campionato inglese a Bath; l’Inghilterra che ha Chris Robshaw, pure come capitano, che non è uno specialista grillotalpa, pur essendo un ottimo giocatore, è stata messa sotto nel break down dall’australiano Michael Hooper. Naturalmente isolare un solo elemento è sempre riduttivo, ma serve per porre l’attenzione su uno specifico elemento. Infatti, qui non abbiamo parlato della collisione, magari potremmo analizzarla in un prossimo appuntamento.
Che cosa succederà nei prossimi anni è difficile da predire, anche perché molto dipenderà dal modo di interpretare le regole inerenti al break down, ma ciò che è sicuro è il ruolo dominante del fetcher nell’ultimo decennio e che per il momento è indispensabile per restare ad alto livello.

 

di Antonio Raimondi

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