Keith Jarrett, il gallese che fece cadere l’Inghilterra

Marco Pastonesi ci porta nel 1967, quando un debuttante regalò una vittoria storica ai Dragoni. Ma il destino…

Ignoranti e intellettuali, operai e studenti, insomma avanti e trequarti. Si sa: c’è chi lo suona, il piano, e chi lo sposta. Keith Jarrett lo suona. Non il pianista Keith Jarrett: troppo facile. Ma il rugbista Keith Jarrett, anzi, per dirla tutta, Keith Stanley Jarrett, gallese di Newport, studente di Monmouth, giocatore – trequarti, perché lo suona, il piano, non lo sposta – di Abertillery e Newport.

Il primo pallone di Keith Jarrett è piccolo e rotondo, più che un pallone è una pallina, da cricket. Lo sport e la religione del cricket li eredita dal padre, Harold, e dal padre eredita anche la squadra, il Glamorgan County Cricket Club. Poi, però, rugby. E a diciotto anni e undici mesi (Jarrett è nato il 18 maggio 1948, e il giorno fatidico è il 15 aprile 1967), viene selezionato, convocato e promosso immediatamente titolare nel Galles contro l’Inghilterra. Cinque Nazioni, a Cardiff, nella cattedrale dell’Arms Park. Cinquantacinquemila spettatori. E lui, Keith Jarrett, estremo. Che non è la sua posizione preferita, perché gioca centro, passare e placcare, colpire e scolpire, geometria e arte, tasti bianchi e tasti neri.
Ma se c’è una sola partita nella vita, una sola partita perfetta, così come c’è una sola opera nella vita, un solo concerto perfetto, per Jarrett è quel giorno lì. E quando McFadyean, trequarti centro di Moseley e dell’Inghilterra, poco fuori dall’area dei suoi 22, calcia in territorio gallese, Jarrett calcola bene il rimbalzo, s’impossessa del pallone e irrompe, a tutta, fra le linee della difesa inglese. Aggira l’ala Savage, evita l’estremo Hosen e, dopo uno sprint di una cinquantina di metri, vola in meta, quasi alla bandierina, sulla sinistra. E lo stato di grazia continua, perché poi, da posizione per molti calciatori impossibile, Jarrett trasforma. La prodezza del debuttante spinge il Galles ad approfittare della situazione, ad accelerare il gioco e a vendicare secoli di abusi, sopraffazioni e violenze della Regina Madre. Un minuto dopo la meta, Jarrett si ripete, e con la pulizia di un chirurgo in sala operatoria cattura un altro pallone, taglia la difesa inglese e spedisce in meta l’ala Bebb di Swansea.

 

Il primo tempo si chiude sul 14-3 per il Galles, ma nel secondo tempo l’Inghilterra si riversa sugli avversari e si riporta sul 14-19, finché Jarrett riprende lo spartito e dirige l’orchestra, una cascata di note (e di punti, 15) in un allegro di soli sei minuti. E così, con una meta (delle cinque), più due calci e cinque trasformazioni, totale 19 punti dei 34 della sua squadra contro i 21 dell’avversaria, viene laureato in rugby e iscritto nella storia.
In tre anni, fra il 1967 e il 1969, Jarrett colleziona 10 partite con il Galles, quello di Gareth Edwards e Barry John, e partecipa a un tour con i Lions. Poi emigra nella Rugby League, i professionisti del gioco a XIII: un trasferimento che, a quel tempo, stabilisce un record economico e suona anche come uno scandalo. Ma il dio di Ovalia, che certo sta dalla parte della Union, cioè del gioco a XV, non può sempre proteggerlo: e un giorno Jarrett si scontra, s’infortuna, si procura un’emorragia interna, che gli causa un colpo apoplettico, e da quel momento i medici gli vietano di giocare. E’ il 1973, lui ha solo 25 anni, deve cominciare a pensare da ex, e stavolta è molto più difficile che esordire contro l’Inghilterra.
C’è chi lo suona, il piano, e chi lo sposta. E per il pianista Keith Jarrett, così come per il rugbista Keith Jarrett, il piano può essere estasi, ma anche incubo.

 

di Marco Pastonesi

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