L’Europa e l’Italia: noi aggrappati al top, ma appesi sul burrone

Antonio Raimondi ci spalanca le porte dell’Heineken Cup e ci porta in un mondo dorato. Dove però non mancano i problemi

ph. Sebastiano Pessina

Negli ultimi mesi i club francesi e inglesi uniti, poi il fronte comune si è spezzato, hanno messo in discussione la Heineken Cup. Oggi ci interessa poco rinnovare l’attenzione sulle problematiche del rinnovo degli accordi per le coppe europee (oltre la Heineken c’è anche la Amilin Challenge Cup) che comunque stiamo seguendo passo a passo su onrugby.it. E’ una questione politica, ma sembra impossibile che si arrivi davvero a una rottura, perché a tutti conviene stare nel torneo: si lotta per avere una fetta più grossa della torta.

 

Ci sono in realtà due aspetti che sono particolarmente interessanti in attesa che s’inizi a giocare: il livello tecnico del torneo e il modello di sviluppo.
Una partita di fascia alta di Heineken Cup, dal punto di vista tecnico-tattico, fisico e mentale è pari se non superiore a quello dei confronti tra Nazionali. Potrebbe sembrare un’affermazione avventata, ma se analizzate con attenzione lo scenario è difficile da confutare. I club più evoluti, o se vogliamo semplicemente quelli più ricchi, hanno strutture, rose di giocatori e tecnici di altissimo livello e possono lavorare giorno dopo giorno al perfezionamento dei propri piani di gioco. Il tempo a disposizione dei tecnici della Nazionale è decisamente più ridotto. Dal punto di vista fisico e da quello mentale, la richiesta dell’intero torneo è davvero enorme, perché si può essere eliminati, perdendo la prima partita del girone, anche se la formula a eliminazione diretta inizia dai quarti di finale. Si deve giocare a elevata intensità per tutti gli ottanta minuti, perché anche un punto di bonus potrebbe alla fine fare la differenza tra andare avanti o essere eliminati e di conseguenza non si può rallentare o controllare una partita, una volta ottenuto un vantaggio di sicurezza. Anche una semplice onorevole sconfitta, diventa difficile da ottenere. Questo scenario richiede un consumo elevato di forze mentali, pensate poi quando una squadra arriva alla fase a eliminazione diretta.

 

Il livello dello spettacolo influisce naturalmente anche sullo sviluppo del torneo: il pubblico è passato da una media spettatori di 6.502 a partita (prima edizione 95/96) a 14.774. Tutto è cominciato con l’apertura al professionismo, prima per oltre cento anni tutto era rimasto più o meno uguale. Nell’emisfero sud questo passaggio epocale ha prodotto il Super Rugby e il Tri Nations ora diventato Rugby Championship con l’inserimento dell’Argentina, mentre nell’emisfero nord ci ha “regalato” l’Italia nel Sei Nazioni e campionati nazionali di grande livello, più la Coppa Europa. La Heineken Cup è cresciuta di pari passo con i principali campionati nazionali, che evidentemente avevano bisogno di aumentare le proprie entrate. In Francia e Inghilterra, prima del 1995, ma possiamo arrivare anche fino all’inizio del Sei Nazioni, i campionati riuscivano ad attirare l’attenzione giusto per le finali. Diego Dominguez ricorda ancora il centinaio di persone in tribuna nella sua partita d’esordio con la maglia dello Stade Francais e stiamo parlando del 1997. In Francia, come in Inghilterra, i club si sono dati un’organizzazione ed hanno investito sulla crescita. I risultati? I club francesi per esempio tra il 2001 e il 2011 hanno aumentato (in media) il loro volume d’affari da 6.284.000 euro a 17.264.000 un 175% in più, ridimensionato (si fa per dire) al 133% se indicizzato all’inflazione.
Nello stesso periodo le presenze medie allo stadio sono passate da 6.233 a 14.032 a partita, senza le fasi finali. Le entrate da sponsorizzazione, che costituiscono oltre il 40% de budget complessivi delle società, sono passate, in media, da 2.622.000 di euro a 7.129.000 e in questi anni di crisi, la crescita è continuata, seppure in modo ridotto con un incremento del 6,5% nell’ultimo anno, contro una media del periodo preso in considerazione superiore al 15%. La LNR, la lega dei club, nei dieci anni in considerazione ha raddoppiato il dividendo per ogni singolo club di Top 14, passando da 1.073.000 di euro a 2.199.000.
Senza voler annoiare con tante cifre, la dimensione della crescita del campionato inglese è più o meno la stessa. I club francesi e inglesi si sono trovati a operare le proprie scelte su un “mercato” numericamente interessante (la Francia ha oltre sessanta milioni di abitanti e l’Inghilterra 50 milioni). Dove il mercato potenziale non era numericamente molto interessante, quindi in Galles, Irlanda e Scozia, si è provata la via, dalla stagione 2001/2002, dell’unione dei “mercati”. Qui la necessità era quella tecnica di reggere il confronto in Europa con i club più ricchi d’Europa e proteggere la competitività delle Nazionali, visto che dal 2000 al 2007, il torneo è sempre stato vinto da Francia o Inghilterra, ad eccezione dello slam del Galles del 2005. La motivazione tecnica alla base della nascita del torneo celtico ha portato al “finanziamento pubblico” delle Union. I risultati non sono stati uniformi in Irlanda, Galles e Scozia.

 

Sul piano sportivo le franchigie irlandesi hanno tratto i maggiori vantaggi con i successi a ripetizione in Heineken Cup di Munster e Leinster. L’Irlanda è tornata pure a realizzare il Grande Slam nel Sei Nazioni, dopo oltre sessanta anni. Il Galles ne ha giovato con la conquista di tre grandi slam, ma il modello che doveva trattenere i giocatori in Galles non sembra in grado di funzionare ancora, così come gli scozzesi rimangono nelle retrovie in lotta con le nostre squadre.
Noi dalla stagione 2010/2011, sotto la motivazione tecnica, abbiamo deciso di “pagare” per unire il nostro mercato potenziale di sessanta milioni di persone a quello, ben più piccolo, celtico. I nostri club, per varie ragioni che meriterebbero un approfondimento, non sono stati in grado di progettare il futuro, parallelamente a quanto successo in Francia e Inghilterra. Un movimento professionistico non può reggersi esclusivamente sulla nazionale che gioca in casa cinque o sei partite all’anno. Deve produrre molto di più per essere, come si dice oggi, sostenibile.
Il nostro destino sembra quello di agganciare il livello superiore, rimanendo però poi “appesi” sul burrone. Abbiamo agganciato il Sei Nazioni, ma facciamo fatica a ottenere con continuità i risultati, anche se gli indicatori economici sono in crescita. Ci siamo appesi alla Heineken Cup (non dimentichiamo la Amlin Challenge Cup) e la situazione si ripete, per stare tra le celtiche addirittura dobbiamo pagare e far ricorso ai “finanziamenti” pubblici. La crisi economica aiuta la ricerca di alibi ma ancora peggiore è la crisi d’idee e di progettualità.

 

La volontà di “Giù il Gettone” è quella di stimolare il dibattito. Mettersi attorno ad un tavolo e analizzare la situazione e progettare il futuro e poi rimboccarsi le maniche e lavorare con forza e determinazione potrebbe essere il primo passo per rimanere nell’alto livello, mettendo i piedi ben saldi a terra, invece di continuare a restare appesi per le braccia.

di Antonio Raimondi

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