Scuola, educazione, rugby e vita: le tre regole di Settimio

Un professore dallo “strano” metodo educativo. E un parco, un preside, un sindaco… Marco Pastonesi racconta una storia

 

Li fa giocare a rugby, Settimio. Dagli undici ai diciott’anni, sono studenti delle medie inferiori, ma fra ripetenti e stranieri, spesso vanno per le lunghe. Così, dopo la mensa, con gli spaghetti ancora sullo stomaco, Settimio li porta a lezione di mischie e touche, di placcaggi e mete. Una mezz’oretta. E siccome la scuola non ha palestra e neanche cortile, li porta ai giardini comunali, e allora il rugby diventa una materia scolastica collettiva, cittadina, trasversale, per tutti.

Settimio non ha mai giocato a rugby, se per rugby intendiamo quindici contro quindici, maglie a strisce e pallone ovale, e regolamento dell’International Board, ma la verità è che a rugby Settimio ha sempre giocato, nel senso degli scontri, delle botte e delle risse, e così si è costruito lo spirito, che è aggressività e sostegno, e anche il fisico, che è tostaggine e ignoranza.

Quando Settimio ha capito che le sue lotte politiche – lui, neanche a dirlo, di sinistra – potevano tradursi in quelle battaglie campali e in quella ricerca della linea del vantaggio, ha pensato che ai suoi studenti, più che Omero e Manzoni, più che Dante e Calvino, mancasse proprio quel contatto muscolare e osseo, quell’invasione nella sfera personale altrui, quel rimettersi in gioco secondo un altro punto di vista, ribaltato rispetto al sistema dei voti e dei giudizi, dell’alzare la mano e dell’andare alla lavagna, dei compiti a casa e delle verifiche in classe. Finché un giorno ha estratto un pallone bislungo, spiegato le regole e cominciato a giocare.

Le regole del rugby, per Settimio, sono soltanto tre. La prima: il pallone si passa solo con le mani, è vero che il regolamento consente l’uso anche dei piedi, ma lui dice che il pallone merita rispetto, andrebbe trattato con i guanti, però, in mancanza, vanno bene anche le dita nude. La seconda: il pallone si passa solo indietro, altrimenti sono capaci tutti. La terza: bisogna conquistare terra, terreno, territorio, fino a oltrepassare una linea che, per semplificare, chiameremo meta. Se non ci sono domande, allora pronti e via. Nessuna domanda, così pronti e via.

Qualche domanda è arrivata con il passare dei giorni, ma da fuori campo: non è che il preside fosse d’accordo, e se è per questo, neanche il sindaco. Il preside per l’incolumità degli studenti, ma Settimio ha spiegato che l’unica incolumità a rischio era quella dei pantaloni, e amen. Il sindaco per la riservatezza della zona, chi si lamenta degli schiamazzi, chi teme per il verde, ma Settimio ha giurato che avrebbe scritto al prefetto e per conoscenza ai giornali, esigendo una palestra o un campo, altrimenti non se ne sarebbe mai andato. Infatti, non se n’è mai andato. E il rugby ha funzionato un po’ come valvola di sfogo, un po’ per riequilibrare i valori, un po’ per abbattere pregiudizi.

Adesso, per colpa della Gelmini, fra accorpamenti e soppressioni, fra orari dimezzati e investimenti azzerati, la classe di Settimio è stata sciolta, e chissà se i ragazzi troveranno un altro professore così illuminato e battagliero. Invece lui andrà a insegnare da un’altra parte. Lettere. Ma anche – e lo dice sorridendo con occhi neozelandesi e braccia argentine – rugby.

Marco Pastonesi

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